All’ombra del vecchio tiglio sul lungomare di Milano – La presentazione del romanzo di Ornella Protopapa a Cascina Torrette, con il prof. Lenoci

All’ombra del vecchio tiglio sul lungomare di Milano

La presentazione del romanzo di Ornella Protopapa a Cascina Torrette, con il prof. Lenoci

di Franco Presicci

MILANO – Su un rudere può spuntare un fiore. E la vecchia Cascina Torrette di Trenno, in via Giuseppe Gabetti, 15, è sfuggita alla sorte di tante consorelle demolite dal piccone. La mano dell’uomo le ha riaggiustato le ossa e rimessa in piedi, dandole un nome attraente: “Mare culturale urbano”, frequentato da numerosissime persone. Chi non l’ha mai visitata crede sia un nome scelto per catturare la gente; invece vi si cammina sulla sabbia, ci si stende sulla sdraio sotto l’ombrellone, si conversa, si legge, si medita, si fanno confidenze tra i vicini e si sogna il mare, che qui non c’è, ma se ne respira l’aria sul “lungomare di Milano”. La cascina è del 1600 ed è diventata un presidio sociale e culturale per la periferia ovest della città. Un’opera di apprezzabile rigenerazione umana.

In un salone che probabilmente una volta era la stalla, tra luci soffuse, su una larga pedana, è stato presentato l’altra sera il bellissimo libro di Ornella ProtopapaAll’ombra del vecchio tiglio”, con l’intervento del professor Francesco Lenoci, al quale due giorni prima l’Isfoa, in via Santa Marta 22, ha assegnato il Premio alla Carriera, assieme a Germano Lanzoni, il famoso “milanese imbruttito”, e a Tonino Lamborghini della famosa famiglia produttrice di automobili di lusso.

È stata una serata interessante, con un pubblico folto e attento. Lenoci ha parlato in modo confidenziale, rivolgendosi spesso a Ornella, che gli aveva scritto con bella calligrafia la seguente dedica sulla prima pagina del libro: “Gli elementi della natura aleggiano nel libro, e quindi incarnano perfettamente lo spirito che tutti vorrebbero imprimere alla propria vita. Ti auguro giornate piene di vento che fa bene al cuore e all’anima, come il vento che fa muovere le vesti delle tarantate”.

Lui il vento del Salento lo ha visto soffiare forte due volte: sul faro di Punta Palascìa, a novembre del 2019 (Ornella vi ha presentato il suo libro il 20 agosto del 2020); ad Alessano mentre parlava agli scout intorno alla tomba di don Tonino Bello, vescovo, poeta, testimone, maestro di vita, in odore di beatificazione.

Io sono abituato ai venti di Martina Franca, che ululando dondolano querce e castagni, noci e fichi e danno un colore argenteo alle foglie degli ulivi. E, come Lenoci, Ornella conosce il vento di Milano, una delle due città in cui si snodano le varie vicende della protagonista del romanzo: Bianca.

Bianca vive e lavora a Milano, ma c’è qualcosa dentro di lei che la spinge altrove. Lascia un impiego soddisfacente, che l’aveva vista impegnata per il “raggiungimento di un concetto di perfezione”, che improvvisamente le appare vuoto e insignificante. Un sogno la scuote, le dà l’impulso: suor Adele, tutto amore per i bambini e preghiera, fa da tramite alla sua voglia di palingenesi. E lei corre. Eccola di fronte alla cattedrale di Otranto ad ammirare la semplicità delle sue linee architettoniche (ah, la cattedrale di Otranto, il solo nome scatena il ricordo del 28 luglio 1480, quando i turchi massacrarono 800 persone decise a non abiurare la loro fede cristiana: n.d.a.), quindi entra nel tempio e ruota lo sguardo fra le navate. Riflette e decide di bussare a Casa Donna Petronilla, dove incontra tanti bambini, e pensa che il “mio digiuno d’amore è finalmente finito”.

Un libro che tiene il lettore inchiodato alla sedia per una giornata, come è successo a me, che avendo cominciato a leggerlo, ho saltato anche il pranzo, non accorgendomi che il tempo passava. Ogni pagina avvince, commuove, coinvolge, con uno stile agile, brillante, espressivo, efficace, che qua e là sfiora la poesia. La storia si svolge con un profumo di tiglio, albero dalle foglie a cuore e simbolo di fedeltà e amicizia. Il tiglio, che si nutre di leggende ed era molto apprezzato dai greci antichi, è una presenza quasi umana, a cui chiedere protezione nei momenti di smarrimento, almeno questa è l’impressione che ho avuto io divorando il racconto tra sacro e profano, tra sogni e realtà.

Ci si può ritrovare nella protagonista, una ragazza forte e fragile nello stesso tempo, alla ricerca del proprio cambiamento, della propria rinascita. E Bianca confessa con sincerità e semplicità questo bisogno. Lenoci, che sa tenere desta l’attenzione e non è mai monotono, non si è limitato a fare commenti: con la sorella di Ornella, Tiziana, che intercalava in maniera discreta e simpatica, poneva domande, ma non per fare un lavoro di scavo, solo per saperne di più. E Ornella ha risposto con piacere. Sollecitata dal relatore, ha parlato della processione nel mare di Otranto della Madonna dell’Altomare, avvenimento importante e solenne.

E lì si è rasentata la tragedia, di quelle che lasciano perplessi e fanno gridare al miracolo: Bianca e suor Adele hanno portato i bambini più grandi a vedere la spettacolare cerimonia liturgica, estasiate davanti alla statua della Madonna accompagnata dalla banda e “scortata da storici pescatori”. Imbarcate su un naviglio tra crepitii di fuochi d’artificio che in cielo si aprono come stelle, e tante altre piccole barche, all’improvviso Ieia, 5 anni, cade in mare. Bianca chiede aiuto a gran voce, sopraffatta dai suoni e dalla confusione, si tuffa, cerca di afferrare il vestito della bambina, le urla di non cedere. Stanno per soccombere, quando un giovanissimo angelo compare nell’acqua e li salva. Sacro, superstizione? Importa il risultato. Ma Bianca non si dà pace: deve sapere, incalza chiunque incontri, e apprende che in tempi lontanissimi per una disgrazia era morta annegata una bimba. A dirglielo, rovistando nella memoria, è suor Adele. Quella bambina era figlia di una famiglia scampata al massacro degli ottomani.

Le domande di Lenoci si susseguono. Tra queste, l’invito a parlare delle tradizioni e Ornella è sempre pronta ad esaudirlo: “Dalle nostre parti nel periodo natalizio, le donne preparano squisiti piatti fatti in casa utilizzando miele e canditi, in particolare le ‘pittule’, una soffice e squisita bontà fatta con acqua e farina fritta in olio bollente”. Le cuciniere dell’orfanotrofio, Dina e Mega, si affaccendavano nella preparazione di ‘pareddhruzzi’ e ‘carteddhrate’”.

Esaudito Lenoci, che su Facebook ha tra l’altro un gruppo, il cui motto è “Ogni pietanza ha il piatto adatto”, Tiziana piazza la domanda sulle radici. Beh quelle non si possono estirpare. Anche un trattore con la sua potenza fa fatica a sradicare un ulivo. Ovunque si vada, il richiamo del paese natio ti segue, suscitando spesso nostalgia. E per sentirsi vicino alla culla qualcuno utilizza il dialetto, altro argomento caro a Lenoci.

Concludendo, “All’ombra del vecchio tiglio”, pubblicato da Bertoni Editore, è un libro splendido, in cui Ornella Protopapa descrive con sapienza paesaggi, situazioni, personaggi, sentimenti; dipinge suor Adele, la piccola Ieia, che non parla da quando ha subito un trauma e ha tanto bisogno di amore e di premure; l’atmosfera dell’orfanotrofio e la vita che vi si conduce; la bellezza del Salento, dove si sposano mare e sole, sacro e profano. Pagine dense, ricche di dettagli. Il finale? Quello il lettore lo scoprirà leggendo.

L’illustrazione di questo libro è una delle tante manifestazioni di “Mare Culturale Urbano”, dove “le persone possono stare insieme, passare il tempo e star bene. È un connettore culturale e sociale, dove artisti e cittadini respirano la stessa aria, scambiandosi necessità ed esperienze per alimentare reciprocamente il senso del proprio stare al mondo”, riferisce Lenoci, entusiasta di questo luogo, che “ospita anche compagnie nazionali e internazionali per la produzione di attività territoriali e attivazioni urbane rivolte al quartiere…”.

Durante il brindisi di saluto molti ospiti gli hanno chiesto notizie di Ornella Protopapa, una signora bella e gentile, nata in Svizzera e cresciuta a Martano, il capoluogo della Grecìa Salentina che custodisce un castello del XV secolo, di cui sopravvivono due torri. Si è laureata in materie economiche all’Università Bocconi a Milano – “città altera, elegante, fieramente vestita delle sue contraddizioni, fredda e spigolosa e tanto lontana dal calore e dal fascino dell’orientaleggiante Otranto, che riempie il cuore”, ma generosa e ospitale – vive in campagna nei pressi di Crema, con il marito Alessandro e i loro due figli, Giuseppe e Luca; lavora nel capoluogo lombardo, in banca nel settore del marketing.

Il 6 agosto di quest’anno è stata nominata da Teresa Gentile, coordinatrice del Salotto Culturale di Palazzo Recupero di Martina Franca, Dama dell’Arcobaleno, che è quella “che ogni volta che realizza un sogno e condivide una sua idea di bellezza, crea emozioni positive, contribuendo ad accrescere l’armonia presente nel creato”.

È stato forse proprio all’ombra di un tiglio che ha scritto questo libro, tenuto per tanto tempo nel cassetto, dove spesso tengono i sogni. Lei ha avuto il coraggio di tirarlo fuori ed è stata premiata, perché – lo direi ancora tante volte – questa sua opera è una perla.

 

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