Il «giurista» Dante per le colpe e le pene dell’uomo moderno tra Commedia e Monarchia – di Micol Bruni

 

Il «giurista» Dante per le colpe e le pene dell’uomo moderno tra Commedia e Monarchia
di Micol Bruni*

Dante è una immensa biblioteca giuridica oltre che umanistico – filosifica. Non universale, ma disorganica tra studi profondi nella cultura orientale e la tradizione occidentale. Un Occidente che non aveva ancora ben compreso la presenza persiana nella latinità. C’era più grecità che Seneca e occidente romano, nonostante l’insistenza del mondo cattolico e le sue contraddizioni con il sorgere delle eresie profondi e le Inquisizioni che cominciavano ad essere aggressive.

Dante era un uomo libero che innovava pur restando legato ad una intelligenza conservatrice e a volte reazionaria. Nel suo impegno politico, che è stato molto intenso, era un conservatore. Poeta ma anche uomo di diritto. La «Commedia» non è soltanto poesia e filosofia. È anche la manifestazione di una particolare sottolineatura giuridica che si proietta in un concetto nuovo di processo giuridico attraverso l’idea di Giustizia. Il concetto di peccato è un tassello della visione di colpa. Le tre Cantiche  e i relativi gironi, cerchi e la rosa finale sono il risultato di un giudizio sui peccatori e le colpe da scontare. In Dante si vive il «processo», il giudizio, la colpa e la responsabilità e la relativa riabilitazione.
Dante divino o/e Dante profeta. Ma anche un Dante giuridico. Si tratta di un viaggio o la ricerca di un viaggio nel quale si supera ogni forma di teologia grazie alla filosofia. Una visione a volte anche escatologica in cui la figura cristologica è oltre le chiese,  ma resta un dato «giuridico» dal quale prendono corpo la misura e la visione di una giurisprudenza del diritto e delle responsabilità, mettendo a nudo, però, la motivazione della responsabilità. Il «Monarchia» resta un’opera centrale della quale prenderà il corpus sia Machiavelli che la distinzione sia storica che giuridica tra Stato e Chiesa. I «Patti lateranensi» del 1929,  e le riforme successive  sono uno scavo approfondito e appropriato di ciò che Dante scrisse nei suoi saggi ravennati dell’esilio.
Il «Monarchia» è un testo propriamente di filosofia giuridica nel quale si vive il decifrato della «Commedia» sino alla interpretazione di Nardi e la interpretazione del Codice Rocco degli anni del Fascismo. La componente poetica di Dante è ben poca lettura rispetto al suo pensiero filosofico e giuridico complessivo. Giunge alla teologia dalla filosofia sull’uomo e sulle civiltà. Il concetto stesso di Patria ha una valenza identitaria profonda che si troverà in Leopardi,  ma anche nella epistemologica dimensione di Giovanni Gentile. La giuridicità della prassi non ha nulla a che fare sia con Kant che con la scuola razionale che da Voltaire giungerà alla «moderna» Scuola di Francoforte». È la prassi giuridica che,  comunque, prende il sopravvento sulla ideologia della ragione. I due capisaldi restano sempre Ragione e Fede, come ben individuati da Benedetto XVI, l’unico e solo pontefice che capì e lesse seriamente Dante e la sua responsabilità etica, molto distante da Hegel.

Da questo punto di vista Dante ha intrapreso un lungo e innovativo viaggio,  comunque, che parte prima di Dante e va molto oltre in un paesaggio di estetiche e metafisiche in cui il divino si intreccia con il mistico e il senso del profeta. Mistico e profeta era Averroè non agostostiniano ma forse neppure tomista. Bruno Nardi comprese subito che la filosofia nata nella «Vita nova» aveva radici nella scuola di Cavalcanti e Guininzelli, ma soprattutto in una «aritmetica giuridica» pitagorica, certamente, ma sicilianae federiciana e successivamente o immediatamente laibizziana. Dante era un «logico» non un fingitore poeta alla Pessoa. La «Commedia» è una logica dove ogni tassello non può essere mosso dal mosaico del «calcolo giuridico». Anche per questo motivo si rivolge a Giochino da Fiore la cui formazione è in Oriente e resta il padre di una eresia anche politica.

In Dante pur vivendo il paradosso, l’enigma e la metafora ciò che resterà nel paradigma del Rinascimento e nel Baracco sarà l’incisività della ciclicità recuperata da Vico. Il «ciclo» è la cifra di una giuridica attenzione del calcolo del tempo. Il «Convivio» testimonia appunto la nascita o rinascita della Meta – Fisica in una fisicità che si serve del riflesso, ovvero della conferma dello specchio che dovrebbe condurre alla verità. È giuridico il concetto di ricerca della verità oltre ad essere espressione filosofica. Insomma Dante fa muovere anche le stelle intorno al concetto di verità della natura e di calcolata misura tra il buio e la luce. Siamo a quel «giudizio universale» innovato da un magistrato e scrittore contemporaneo cimeli sardo  Satta.

Dante è stato chiaramente un cristiano della tradizione,  ma molto distante dal «relativismo tradizionale» (purtroppo a volte anche giuridico) post medievale. Un conservatore (cristiano perché  fuori dalla ideologia della prassi) che non ha accettato le regole della teologia. Proprio per questi motivi ha rivoluzionato un Medioevo stilato sulla disputa delle Crociate. Non accettò la «distonia» delle Crociate perché troppo distante dal Medioevo autoritario sia imperiale che cattolico. Anche per questo venne ignorato dall’Ottocento e recuperato da Giovanni Gentile prima e Augusto Del Noce in epoca moderna. Non fu un profeta del Risorgimento. Fu un anticipatore della giuridicità problematica della Ragione di Stato ma con la forza della trasformazione dell’etica in pietà. Il poeta e il giurista del «Monarchia» sono nella affermazione della «Commedia».

Dante fu rivoluzionario?  È  certo che con Dante si apre l’Umanesimo non solo per una rottura che si crea tra teologia e filosofia, ma per una precisa posizione che assume a privilegio della filosofia. La filosofia rispetto al dato giuridico non ha regole. La contraddizione energetica è vitale. Il poeta filosofo che introduce una giuridica visione di colpa è una rivoluzione emblematica e decisiva per ciò che sarà poi il pre e post Risorgimento a partire da Cesare Beccaria. Beccaria, infatti, senza Dante non avrebbe capito il valore storico delle colpe e delle pene. Il politico che non perde mai il contatto con l’importanza della Ragione che si intreccia alla Fede. Sono questi due principi che sottolineano in Dante l’idea di Nazione.

Il «De vulgari» nasce proprio dalla consapevolezza della identità organica di una lingua con l’obiettivo di un assetto geopolitico che ha bisogno di un immaginario, in quel contesto, giuridico identitario. La «Commedia» pone anche queste condizioni interpretative se la si vuole leggere nella sua interezza culturale. Una giuridicità che ha leggi precise. Negli anni dell’esilio e negli scritti da esiliato questi elementi diventano una prerogativa per una ricerca della verità su Dante e per Dante. Una filosofia del diritto per una enunciazione tra colpe e pene in un processo della riabilitazione dell’uomo. L’uomo nuovo è qui!

*storica e filosofa

 

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