Serena conduce operaclassica eco italiano.

Teatro di San Carlo

Concerto di Natale:
Juraj Valčuha dirige Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Solista il soprano Lauren Michelle

Sabato 18 Dicembre 2021 ore 19:00.

Sabato 18 dicembre 2021 alle 19 al Teatro di San Carlo torna il tradizionale Concerto di Natale in occasione delle imminenti festività natalizie.
Juraj Valčuha, dirigerà Orchestra e Coro del Massimo napoletano in un programma dal fil rouge neoclassico che include la Suite n.1 dal balletto Cenerentola Op.107di Sergej Prokof’ev, Ma mère l’oye, di Maurice Ravel e Gloria in Sol maggiore per soprano, coro e orchestra di Francis Poulenc.
Maestro del Coro è José Luis Basso mentre il soprano solista è la statunitense Lauren Michelle, al suo debutto al San Carlo.
Michelle, nata a Los Angeles, si è laureata alla University of California (UCLA) nella sua città e alla Juillard School di New York. Ha vinto più di quindici concorsi internazionali, tra cui la BBC Cardiff Singer of the World Competition. Il suo debutto è avvenuto in Italia, nella commedia musicale Mozart di Reynaldo Hahn, diretta da Francesco Maria Colombo al Teatro Dal Verme di Milano e poco dopo è stata Lauretta nel Gianni Schicchi al Teatro Romano di Fiesole: è così iniziata una brillante carriera che l’ha portata a cantare in teatri prestigiosi quali la Staatsoper di Vienna, la Royal Opera House Covent Garden di Londra, la Welsh National Opera di Cardiff, l’Opera Theatre di Saint Louis e la Washington National Opera. Ha cantato la Petite messe solennelle di Rossini con i Berliner Philharmoniker diretti da Marc Minkowski e nell’Elektra di Richard Strauss diretta da Mikko Frank in forma concertante alla Philharmonie di Parigi. Si è esibita alla Carnegie Hall di New York, al Bunka Kaikan di Tokyo, alla Osawa Hall con direttori d’orchestra del come Michele Mariotti, Placido Domingo, Seiji Osawa.

Dalla guida all’ascolto di Lorenzo Mattei
nel programma di sala del concerto del 18 dicembre 2021:

Neoclassicismo è un termine che viene abbinato all’estetica di Winckelmann e all’arte di Piranesi o di Canova ma, a ben vedere, tutto ciò che in qualche misura ricrea un ideale di “classicità”, remoto o recente che sia, può definirsi tale. Molti compositori nella prima metà del Novecento hanno assunto una poetica “neoclassica” attraverso varie forme di recupero e di riutilizzo di “classicismi”, ora seriose, ora divertite e ironiche. Questo sguardo neoclassico costituisce il fil rouge che può legare i tre brani in programma.
Ma Mère l’Oye
Nel 1908 Maurice Ravel compone una suite di brevi pezzi per pianoforte a quattro mani, Ma Mère l’Oye, ispirata alle illustrazioni d’un libro di fiabe, dedicandola ai figli dei suoi intimi amici Ida e Cipa Godebski. Partito da una committenza domestica e affettiva, Ravel con questo lavoro intendeva omaggiare il mondo dell’infanzia – come avevano fatto Fauré con Dolly (1894) e Debussy con Children’s Corner (1908) – attraverso la fiaba di tradizione francese barocca, esemplata da Charles Perrault (1628-1703), Madame d’Aulnoy (1650-1705) e Jeanne-Marie Leprince de Beaumont (1711-1780). Non paia ozioso aver scritto gli anni di nascita e morte di questi autori: l’età dell’Arcadia e delle galanterie settecentesche per Ravel, come anche per Debussy e per decine di compositori francesi sospesi tra decadentismo e avanguardia, rappresentò un “altrove” da rievocare, stilizzandolo, per riversarvi quanto di più raffinato offrivano le nuove tecniche basate sui parametri del timbro e dell’armonia. Non a caso Ma Mère l’Oye dopo quattro anni dalla sua primigenia ideazione fu mutata da Ravel in balletto, con una trascrizione per piccola orchestra, per divenire infine una suite orchestrale da concerto dove l’autore fu libero di dare il massimo sviluppo alle sperimentazioni timbriche già presenti in nuce sui tasti neri e bianchi del pianoforte. L’apparente semplicità, pensata per le capacità performative dei giovanissimi dedicatari (che peraltro non ne furono i primi esecutori pubblici, sostituiti da Jeanne Leleu e Geneviève Duronyy), costituisce una consapevole sottrazione di “peso” e una ricerca di pura linearità, così tipica della coeva poetica neoclassica. Dalle fiabe dei narratori barocchi, dal loro “c’era una volta”, Ravel trae ispirazione per scrivere antiche danze come la Pavane (qui non per una «infante défunte», ma per una principessa addormentata), per dar vita ora a sonorità allusive al medioevo del canto gregoriano, ora a giochi di cineserie (armonie per quarte e scale pentatoniche) riferiti al mondo della impératrice des pagodes (quelle stesse Pagodes, rievocate nelle debussyane Estampes del 1903). Il percorso dei cinque brani individua sottili legami e rielaborazioni interne, in particolare condotte sul tema della Pavane, che donano organicità all’intera composizione. L’intera suite pare orientarsi verso la trasfigurazione conclusiva, realizzata nelle sette misure finali con la luce purissima del Do maggiore, esaltata dai glissandi di arpa e celesta, capace di rendere l’aura incantata del Jardin féerique. La nobile semplicità intrinseca a quella tonalità priva d’ogni alterazione rappresenta una sorta d’apoteosi sonora che spazza via le tante ombre createsi durante Les Entretiens de la Belle et la Bête per il tramite di armonie così ambigue da comunicare all’ascoltatore serenità e angoscia al tempo stesso (e forse anche quel certo grado di morbosità che talvolta si annida nello sguardo adulto rivolto al mondo dell’infanzia).

Suite n.1 dal balletto Cenerentola Op.107
Perrault e la sua Cenerentola stanno alla base dell’omonimo balletto scritto da Sergej Prokof’ev nel 1944 per il coreografo Rostislav Zakharov che lo diresse il 22 novembre 1945 al Bol’šoj di Mosca. Dei cinquanta numeri in cui s’articolava, Prokof’ev ne scelse rispettivamente otto, sei e otto per le tre suites sinfoniche confezionate nel corso del 1946. Per Prokof’ev neoclassicismo significa soprattutto senso della forma e legame con i generi della tradizione della grande musica d’arte europea: lo dimostrano le sette sinfonie (la sua Prima sinfonia del 1917 non a caso è detta “classica” perché fa riferimento allo stile di Haydn), i cinque concerti e le nove sonate per pianoforte, i due quartetti per archi e le sonate per violino, flauto e violoncello. Nel caso dei due più celebri balletti tra i sette scritti durante la sua vita, Romeo e Giulietta e Cenerentola, l’atteggiamento “neoclassico” stilizza la grande tradizione “romantica” di musiche per balletto, andando a formare un apparente ossimoro categoriale: o si è classici o si è romantici! Ma all’altezza cronologica degli anni ’40 oramai anche l’Ottocento di Čajkovskij si era ammantato di “classicità”. A scongiurare il rischio di accademismo per Prokof’ev giunge sempre un’ironia di fondo che genera il giusto distacco dal materiale musicale rievocato, ma che al pubblico americano degli anni ’30 farà definire il compositore come un «Mendelssohn dalle note tutte sbagliate». Ad ascoltare la Danza dello scialle, il Walzer che segna la partenza di Cenerentola per il ballo o la Mazurka che accompagna l’ingresso del Principe si nota bene quanto Prokof’ev giochi a deformare gli stilemi di quelle danze che avevano funzionato fino a pochi decenni prima come una forma di collante sociale e che solo quattro anni più tardi (1950) sonorizzeranno la scena clou della Cinderella disneyana con struggente nostalgia nella colonna sonora di Paul J.Smith e Oliver Wallace. Lo sguardo tanto neoclassico quanto dissacratorio che Prokof’ev getta sulla tradizione, solo all’apparenza omaggiata e riverita, sul piano musicale si traduce, infatti, in quella «cacofonia melodiosa» che Jankélévich rintracciava già in Ma Mére l’Oye. Se la conclusione del pezzo di Ravel puntava alla luce senza ombre del mezzogiorno in Do maggiore, quella della prima Suite orchestrale di Prokof’ev conduce a una mezzanotte che solo nell’ultima battuta approda all’altrettanto luminoso Re maggiore. Mentre in Ravel il sortilegio timbrico del giardino fatato era figlio di un decadentismo (a tratti di un manierismo) estetizzante, in Prokof’ev i dodici rintocchi dell’orologio preludono alla fine dell’incantesimo e danno luogo a un marionettismo straniante che solo il solenne ritorno del tema di Cenerentola a piena orchestra è in grado di fugare.

Gloria in Sol maggiore per soprano, coro e orchestra
Francis Poulenc fu il più neoclassico dei compositori francesi di primo Novecento e il più nostalgico all’interno del gruppo dei Les Six (1918-1925) formato da lui, Milhaud, Honegger, Auric, Tailleferre, Durey nella Parigi di Satie e Cocteau, dei Balletti Russi e dei Ballets Suédois, delle serate organizzate dal conte Étienne de Beaumont o della principessa di Polignac. Quel sodalizio artistico la cui poetica era volutamente dissacratoria e onnivora (si attingeva dal mondo del jazz, dalla musica di consumo americana, dalle suggestioni dei ritmi latini sino a quelle legate al sound del circo e dei luna park) ben rispecchiava l’anti-accademismo di Poulenc che fu sostanzialmente un autodidatta, per quanto figlio di un’ottima pianista e allievo, per brevi periodi, di musicisti di rango come Ricardo Viñes o Charles Koechlin. In questo caso “neoclassicismo” equivale a curiosità verso ogni materiale musicale suscettibile di essere reinventato, assecondando una visione leggera e disincantata del comporre. Il Gloria in Sol maggiore, scritto nel 1959 ed eseguito nella Boston Symphony Hall il 20 gennaio 1961, è scritto sulla falsariga del Gloria RV 589 in Re maggiore di Vivaldi, riscoperto da Alfredo Casella e da lui diretto durante la prima settimana senese alla Chigiana di Siena il 20 settembre 1939. Nel 1952 Gian Francesco Malipiero – che aveva curato una revisione del Gloria RV 589 per l’Istituto Italiano Antonio Vivaldi, dove presiedeva all’edizione dei lavori strumentali vivaldiani – compose Vivaldiana, un’opera che condivide in parte l’atteggiamento tenuto da Poulenc sette anni più tardi nel suo Gloria. Basta raffrontare i due Gloria con le partiture alla mano per rendersi conto di come Poulenc riprenda da Vivaldi segmenti melodici, moduli ritmici, e soprattutto la disposizione degli ingressi e i rapporti tra le quattro voci del coro, secondo un’operazione di divertita rimodulazione di quel celebre testo sacro che nelle sue mani, complici le accentuazioni “sbagliate” di molte parole latine, diventa a tratti un divertissement scanzonato. L’intensità espressiva degli interventi solisti del soprano, contrassegnati da curve tortuose e da intervalli aspri, apre tuttavia lo spiraglio a una diversa lettura di questo lavoro che va ad affiancarlo a quel gruppo di opere – le Litanies à la Vierge Noire (1936), la Messa in Sol (1937), i Quatre motets pour un temps de pénitence (1939) l’Exultate Deo (1941), il Salve Regina (1941), lo Stabat Mater (1950), i Quatre motets pour le temps de Noël (1952) – nate da una sincera ispirazione religiosa conseguente a una serie di lutti personali. Nella rimodulazione del passato settecentesco Poulenc è capace di celare l’espressione di tutte le angosce del presente, magari indossando una maschera dai capelli rossi.

Teatro di San Carlo
sabato 18 dicembre 2021, ore 19:00
CONCERTO DI NATALE / JURAJ VALČUHA

Direttore | Juraj Valčuha
Maestro del Coro | José Luis Basso
Soprano | Lauren Michelle♭

Programma
Sergej Prokof’ev, Cenerentola, Suite n. 1, Op. 107
Maurice Ravel, Ma mère l’oye, suite
Francis Poulenc, Gloria per soprano, coro e orchestra

♭debutto al Teatro di San Carlo

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Con gentile preghiera di pubblicazione e/o diffusione
Rossana Russo,
Responsabile della comunicazione creativa e strategica e relazioni con la Stampa
r.russo@teatrosancarlo.it
cell 3357431980

Giulia Romito,
Comunicazione e Stampa
g.romito@teatrosancarlo.it 0817972301.

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