Marylin Monroe e la poesia in un inquietante tragico oltre il mito a 60 anni.

 

Marylin Monroe e la poesia in un inquietante tragico oltre il mito a 60 anni.
Scomparsa tra la notte del 4/5 agosto del 1962
«La gente non mi vede! Vede solo i suoi pensieri più reconditi e li sublima attraverso di me, presumendo che io ne sia l’incarnazione” (Marylin Monroe).
Pierfranco Bruni
 

«Quel che ho dentro nessuno lo vede/ho pensieri bellissimi che pesano/come una lapide». I pensieri pesano. Anche se sono belli.  Struggente la comparazione con la lapide. Un inquieto esiste sulla scena della ribalta con una platea in attesa di schioccare un applauso o di far tacere le mani. Ma lei è lì. In quei versi che mascherano senza nulla nascondere e senza tramare nulla anche se le trame sono la ragnatela in sguardo di vento. 

Sono versi di Marylin Monroe che esprimono il senso scavante di una profonda interiorità. Tragicamente inquieta oltre la ribalta e nell’anima che diventa il guscio di una caverna: «… sento la vita avvicinarsi/mentre tutto quello che voglio/è morire». 
Lo spettacolo si dipana nello spazio dello specchio che non riflette soltanto il viso di Marylin, ma specchia i volti di tutte le donne che ha rappresentato avendo davanti, dietro e in ogni angolo la macchina da presa. Il cinema è la verità della illusione nella quale l’attore/l’attrice scopre l’orrore: «…perché a mia anima/vi fa orrore/come gli occhi delle rane/sull’orlo dei fossi?». 
Non è palmeabile l’ironico. «Sto cercando di provare a me stessa di essere una persona; poi forse mi convincerò di essere un’attrice».
Neppure nel consumato senso tragico. Marylin nel suo sorriso e nel vestito bianco al tocco del vento è soltanto uno sguardo tragico le cui labbra in rosso hanno la passione certamente ma anche il terribile che la condurrà ad u  «gorgo muto». Sembra un figura incorniciata dalle parole di Cesare Pavese al suono di verrà la morte e avrà i tuoi occhi. 
L’ironia non traspare dunque. Semplicemente perché non c’è. Al suo posto insiste la malinconia: «… dipingere i desideri/ con i pensieri/che volano via/prima che muoia/e pensare/con l’inchiostro». Pensare con l’inchiostro. Una metafora che raccoglie in sintesi la sintesi di un disperante trucco. Senza trucco si muore perché ci si abbandona al desiderio della rupe/destino. 
«Ho sognato di diventare tanto bella da far voltare le persone che mi vedevano passare». La bellezza ha sempre quella nicchia tragica che sfida il tempo e sconfigge la storia. Questa è stata è Marylin.
L’attrice che resta un mito e una icona ha il pianto soffuso nel cerchio di in orizzonti che recita frammenti che diventano frantumazione di un esistere nell’esistenza. La poesia di Marylin Monroe è come se avesse assorbito il canto di Antonia Pozzi o il recitativo di Silvia Plath. Perché uccidere gli uccelli che volano? Perché, ci recita Marylin, «un uccello non ha scampo/quando vola./È crudele uccidere/chi non ha scampo». Il volo di Marylin in questi versi è l’onda breve e lunga della recita portata sul set della soggettività. 
Non ha mai amato essere considerata un oggetto. La donna e l’attrice sono il doppio in in vetro di finestra in una America, allora come oggi, senza consolazione. Faccio delle rime di tanto in tanto, chiosa Marylin, ma «all’inferno, do benissimo/che non si vende». 
Il colpo finale dei suoi versi è in un distico che rasenta l’assurdo di una Anais Nin: «Il mio involucro invecchia/ma io devo ancora nascere». La dimensione del tempo ha la misura della giostra che gira gira e rigira e lei, Marylin, fissa il vuoto e lo spazio del rotondo perfetto e cerca una misura tra il tempo del giro e il rotondo piano poi meno piano poi veloce di quel bisogno di essere cullata nel sonno: «Non piangere bambola mia/ora ti prendo e ti cullo nel sonno «. 
Essere cullati dal sonno. L’estremo saluto di un simbolo nata tra le braccia degli dei e stretta tra il tramonto e l’alba di un giorno d’estate. Il 4 agosto del 1962. Anzi nella notte tra il 4 e il agosto. «Trentacinque anni vissuti/con un corpo estraneo/trentacinque anni/con i capelli tinti/trentacinque anni/con un fantoccio./Ma io non sono Marylin/io sono Norms Jean Baker…». Il resto è altro. I testi sono stati pubblicati in volume della Feltrinelli nel 2010, dal titolo: «Fragmets». 
Non si sconfigge un mito. E tanto meno si dimentica Marylin. Era nata il 1 giugno del 1926. La bellezza è un sogno irresistibile e irripetibile come gli occhi del giorno e lo sguardo della luna. 
In fondo ha scritto: «il mio sogno? Stare di fianco al mio uomo, ascoltare musica, leggere poeti, imparare a scrivere, comporre versi, i primi che mi vengono alla mente, e avere accanto qualcuno a cui farli leggere. E poi recitare cose serie, cose importanti». Una donna al di là del bene e del male forse perché umana, anzi troppo umana.
 
«La gente non mi vede! Vede solo i suoi pensieri più reconditi e li sublima attraverso di me, presumendo che io ne sia l’incarnazione» (Marylin Monroe).

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