La formazione e l’evoluzione del pensiero di Papa Francesco – Recensione a “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale” di Massimo Borghesi – di Nicola Felice Pomponio

 

La formazione e l’evoluzione del pensiero di Papa Francesco

Recensione a “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale” di Massimo Borghesi

di Nicola Felice Pomponio

TORINO – Questo testo si segnala come una notevole ricostruzione, puntuale e approfondita, del pensiero, della formazione intellettuale e delle influenze delle situazioni storiche sulla riflessione di Papa Francesco. La stessa diretta collaborazione del Pontefice con quattro registrazioni audio rende il volume di grande valore come documento “in presa diretta” della dottrina di Bergoglio. L’autore ha cercato, riuscendovi, di descrivere la formazione e l’evoluzione del pensiero di Papa Francesco invece di presentarlo come un “sistema” definito e stabile aggiornato all’attualità dei recenti documenti; ne risulta un libro densissimo per l’ampiezza delle dottrine analizzate (molte delle quali, sebbene di estremo interesse, pressoché sconosciute in Italia) e per il collegamento sempre presente tra pensiero e realtà socio-politica con cui, Bergoglio, sempre si confronta. Scorrono così sotto i nostri occhi in capitoli ricchi di spunti di ulteriore ricerca non solo questioni teologiche o filosofiche ma anche i problemi posti dalla teologia della liberazione o dall’incontro con il “pueblo fiel” come pure il rapporto con il peronismo, la dittatura militare, la riflessione sulla “Patria grande” latinoamericana, la critica alla globalizzazione.

Ciò premesso, risulta particolarmente ingrato il compito di un recensore che, per forza di cose, non può che essere parziale e inevitabilmente riduttivo a fronte della ricchezza intellettuale che il testo riesce a far emergere. Ci sembra però che l’autore sottolinei come il pensiero bergogliano nasca dalla confluenza di almeno tre grandi tradizioni di riflessione: quella gesuitica interna all’Ordine, quella della grande teologia europea del ‘900 e quella propria argentina o, ancor meglio, sudamericana. Questi momenti si connettono l’un l’altro senza mai dimenticare la concreta situazione in cui sono calati. Risulta quindi fondamentale punto di partenza del pensiero di Papa Francesco la meditazione del e sul fondatore della Compagnia di Gesù.

E’ proprio dalla massima ignaziana “non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est” che prende le mosse l’analisi del testo. La riflessione su questa frase e il continuo confronto con la tradizione interpretativa interna all’Ordine sono all’origine e al termine del pensiero bergogliano in quanto “è utile per caratterizzare dialetticamente (nel senso adottato da Fessard) la spiritualità ignaziana” (Bergoglio a pag. 37). Questa precisazione del Papa è di estremo interesse evidenziando uno dei cardini del suo pensiero: il concetto di dialettica. Come giustamente sottolinea a più riprese l’autore, la dialettica bergogliana (si noti il riferimento a Fessard) è pensata a prescindere e in contrapposizione all’impostazione hegeliana. Per Bergoglio, sulla scorta dell’incontro con alcuni dei più importanti pensatori cattolici novecenteschi quali De Lubac, Przywara, Congar, Fessard, Guardini, von Balthasar la dialettica non presuppone alcun “superamento”, alcuna “Aufhebung”, poiché in questa ciò che si ritiene scomodo o marginale viene semplicemente soppresso. La dialettica polare che origina dagli “Esercizi” si prende cura invece di ambedue le parti in gioco mettendole in tensione l’una con l’altra senza mai risolvere l’una nell’altra: il particolare non potrà essere in nessun caso sussunto, sacrificato o immolato sull’altare del generale.

Per Hegel, in una famosa frase, “una grande figura, che procede innanzi, calpesta più di un fiore innocente (“Lezioni di filosofia della storia”); il pensiero di Bergoglio vuole invece tenere insieme, senza farlo calpestare, il fiore innocente e la grande figura, cosciente che questa “dialettica polare”, sola, può rivendicare la dignità dell’uomo. Così, ad esempio, è giusto sostenere i diritti della totalità, ma si scivola inevitabilmente nel totalitarismo nel momento in cui non si assume più come principio base del rapporto particolare/universale il “non maltrattare i limiti” (p.86). Questa riflessione sull’opposizione polare è dedotta anche dall’incontro col pensiero di Romano Guardini: la realtà si viene a costruire intorno non alla contraddizione (Widerspruch) ma all’opposizione (Gegensatz) dove “i poli della vita, gli opposti, sono tali quando non vengono assolutizzati, quando l’uno non esclude l’altro ma lo presuppone” (p. 123).

Qui si apre uno spazio insospettato perché il contingente, il presente che verrà inesorabilmente travolto dallo scorrere del tempo rimanda a un altro da sé in cui la propria dignità trova fondamento; si apre all’utopia “come <cammino verso> o, come direbbero gli scolastici, l’utopia come <causa finale>, ciò che ti attrae; quello a cui devi arrivare: il bene comune” (Bergoglio, pag. 129). Il testo di Borghesi si sofferma con particolare attenzione sul rapporto con Guardini sia perché è teoreticamente rilevante sia perché segna un momento di continuità nei confronti di Papa Ratzinger che, in quanto “allievo” di Guardini è stato talvolta erroneamente opposto a Papa Bergoglio proprio su questa filiazione intellettuale. La dialettica polare s’inserisce comunque all’interno di coordinate ben precise che, esaminate nel dettaglio da Borghesi, innervano tutto il pensiero di Papa Francesco.

Non si tratta di un mero, sterile, esercizio puramente teorico, bensì della sforzo di un confronto senza quartiere con la realtà in cui viviamo mai trascurando, evangelicamente, gli “ultimi” che sempre si ritrovano nelle tre coppie polari in cui il reale si manifesta: pienezza/limite, idea/realtà, globalizzazione/localizzazione in quanto espressioni particolari del generale problema della relazione tra unità e diversità. E questo problema, fondamentale da tutti i punti di vista (teologico, ecclesiologico, politico, economico, sociale ecc.), nonché le tre coppie in cui si manifesta deve essere pensato, calato nelle diverse realtà, secondo quattro principi fondanti: il tempo è superiore allo spazio, l’unità è superiore al conflitto, la realtà è superiore all’idea e il tutto è superiore alle parti laddove l’espressione “è superiore” non va intesa in senso costrittivo (o hegeliano) ma in direzione della “dottrina classica dell’unità dei trascendentali dell’Essere (bello-buono-vero) a stretto contatto con la riflessione teologica di Hans Urs von Balthasar” (pag.24).

Qui ci sembra che la filosofia della polarità nel suo sforzo di mantenere insieme concetti o esperienze contraddittorie, nel costante assunto di non appiattirsi in una visione in cui una delle parti prenda il sopravvento fagocitando il tutto, questo grandioso tentativo di dare il giusto peso (che non è un “incontrarsi a metà strada”) a ogni particolare all’interno di un generale che lo conservi e valorizzi, essendo a sua volta conservato e valorizzato nel particolare, tutto ciò ci sembra possibile perché alla base del pensiero di Papa Francesco si situa il Mistero cristiano centrale: il Mistero dell’Incarnazione. Il realismo bergogliano ha presente che “Ireneo può arrischiare la frase che Agostino ha ripetuto: ogni eresia andrebbe ricondotta al comune denominatore, che la Parola non è diventata carne” (Balthasar a pag. 269). Arianesimo, monofisismo, pelagianesimo, gnosticismo (compreso il panlogismo hegeliano e la sua lettura di Fil. 2,6-8) ma anche “sbandate” ideologiche che possono lacerare il tessuto ecclesiale o che nel fuoco dell’impegno politico dimenticano il rapporto costante col “pueblo fiel” diventano prospettive in cui l’Incarnazione, la tensione polare tra uomo e Dio, viene persa in una estremizzazione che può assumere i contorni del fanatismo.

Abbiamo sommariamente delineato alcuni aspetti dell’analisi di Borghesi, impoverendo inevitabilmente sia il contenuto del testo sia le tante interessantissime sfaccettature del pensiero dell’ex provinciale dei Gesuiti. Ci preme però sottolineare che la ricostruzione effettuata dall’autore è di grande interesse anche quando affronta l’influenza di autori sudamericani, come l’argentina Amalia Podetti o l’uruguayano Methol Ferrè, sul futuro Papa. Analisi, questa, doppiamente meritoria poiché da un lato ricostruisce il percorso intellettuale (e politico) di Bergoglio, dall’altro opera una lodevole opera di divulgazione di riflessioni troppo velocemente bollate, anche in Italia, come “periferiche”. Si segnala così di particolare rilevanza il confronto sempre vivo tra Bergoglio e la floridissima teologia sudamericana che, tenendo fermo all’opzione preferenziale per i poveri, ha attraversato con grandi figure, da Medellin in avanti, sia la teologia della liberazione (alla quale Bergoglio non può essere assimilato) sia la rinascita cattolica latinoamericana della fine del XX secolo.

Vogliamo in chiusura richiamare un momento “concreto” del pensiero bergogliano in cui emerge con chiarezza l’afflato teologico e filosofico della sua attenzione al reale attraverso la dialettica polare. Il testo di Borghesi è molto ricco di esempi e se scegliamo il problema della globalizzazione non è certo per sottovalutare la valenza di altre questioni trattate nel libro, ma lo sviluppo economico successivo alla caduta del muro di Berlino assume tratti di peculiare rilevanza sia filosofica (la sconfitta del marxismo rappresenta la vittoria di un neopositivismo alla Comte) sia politico –sociale. Dobbiamo quindi partire dalla dialettica centro/periferia in cui la periferia, e gli uomini che la abitano, è sempre più marginalizzata, ridotta a “scarto”; alcuni paesi, ma anche ampi strati di popolazione nei paesi più ricchi, sono rigettati indietro nel momento della redistribuzione della ricchezza da politiche iperliberiste che, dissolvendo il tessuto sociale e i corpi intermedi che lo compongono, se talvolta sono in grado di aumentare gli indicatori economici, troppo spesso lo fanno a scapito di sempre più esseri umani (“scarti”) marginalizzati non solo nelle grandi “Villas” di Buenos Ajres ma anche nelle periferie urbane del mondo capitalisticamente più avanzato.

Si crea così una nuova cultura in cui “gli esclusi non sono <sfruttati> ma rifiuti, <avanzi>” (Evangelii Gaudium § 53). Il marginalizzato, il particolare, perde la dignità umana in nome di un generale, l’economia di mercato abbandonata a sé stessa, che s’impone come unica prospettiva e unico metro di giudizio su ciò che è male e ciò che è bene. Così sempre più esseri umani scivolano, più o meno velocemente, nella povertà; la via d’uscita indicata nell’Evangelii Gaudium diventa la rivendicazione del “primato della politica, di una politica che torni a ragionare sul bene comune di un popolo, all’interno di un orizzonte non immanentista. La politica può oggi <trascendere> l’economia solo se si muove nella tensione polare tra immanenza e trascendenza” (p. 215). La politica riassume anch’essa dignità come spazio di conciliazione di tensioni contrastanti avendo ben presente che “il modello tecnocratico, che guida l’economia odierna, si coniuga, nell’era della globalizzazione, con la filosofia individualistica e relativistica” (p. 215).

Papa Bergoglio usa una bella immagine per caratterizzare il rapporto centro/periferia: la globalizzazione non dev’essere come una sfera dove tutto sulla superficie è uguale, ma “come un poliedro: ogni sfaccettatura (l’idiosincrasia dei popoli) conserva la sua identità e particolarità però si uniscono in una tensione armoniosa alla ricerca del bene comune” (Bergoglio, pag. 199). Ovviamente per i cantori delle magnifiche sorti e progressive del neoliberismo queste affermazioni sono da rigettarsi. Borghesi, altro pregio del libro, discute vari giudizi negativi su Bergoglio. Tra questi, tralasciando gli italiani, ci piace riportare la citazione di Luttwak che dice in modo diretto ciò che altri forse pensano ma non osano affermare sostenendo che “Papa Bergoglio proviene dagli ambienti intellettualoidi di Buenos Aires. Quelli che a suo tempo sostenevano la teologia della liberazione di Padre Torres” ovvero “la guerriglia per rimediare alle ingiustizie sociali” (p. 212 nota 547).

Davanti a queste semplici menzogne ancor più gigantesca si erge la profetica figura di chi, a partire dall’ignaziano “non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est” dice: “finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali dell’iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’iniquità è la radice dei mali sociali…Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato (Evangelii Gaudium § 202,204).

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