Opera, il tenore Stefano La Colla: ogni sera noi cantanti ci mettiamo in discussione per emozionare il pubblico – L’intervista di Giovanni Zambito

Opera, il tenore Stefano La Colla: ogni sera noi cantanti ci mettiamo in discussione per emozionare il pubblico. L’intervista.

di Giovanni Zambito

BRUXELLES – Di origine siciliana, il tenore Stefano La Colla è “figlio di emigranti”: il padre per motivi di lavoro si era trasferito a Torino. Lo abbiamo incontrato a Bruxelles dove è in scena nell’opera di Ponchielli “La Gioconda” nel ruolo difficile di Enzo Grimaldo: una parte che sostiene con fascino, garbo, physique du rôle e potenza vocale. Iniziamo subito a parlare degli studi e della formazione nel canto.

La mia fortuna – confessa – è stata che la mia carriera non è iniziata all’età di 25-30 anni, ma dai 35 anni in poi: ho avuto dunque la bella opportunità di farmi tutti i teatri di provincia come Pisa, Lucca, Livorno, Torre del Lago – quando vinsi la borsa di studio – e Reggio Emilia, Piacenza, Modena. Ho avuto così la fortuna dei vecchi cantanti che facevano tale circuito di prova in cui ti testavano: nel frattempo il cantante maturava e quindi, diventando quello che è, l’artista poteva essere preso da Parma e da qui si aprivano le porte per la Scala e altri teatri. Per me, è successo un po’ l’inverso, nel senso che io ho fatto tutti questi teatri tradizionali e poi ottenni una scrittura all’estero, in Germania. I tedeschi da quella volta non mi hanno più lasciato: mi amano tantissimo, sono un pubblico davvero caloroso. Hanno visto la mia serietà nell’offrire sempre un’emozione al pubblico.

Che cosa deve perseguire un artista come primo obiettivo?

Come mi disse un vecchio insegnante: “Tu non la devi sbagliare la nota, è chiaro. Però, per assurdo, preferisco che tu sbagli una nota, ma che tu dia un’emozione al pubblico”. La gente paga un biglietto perché si vuole emozionare e l’opera lirica è come un lavoro d’artigiano: ogni sera noi ci mettiamo in discussione. Quando a un artigiano vengono commissionati cento vasi di coccio, te li farà, saranno tutti simili ma mai uguali. A teatro hai un contatto diretto con il pubblico e ricordo con piacere che una signora da Amburgo è venuta a Monaco di Baviera e un’altra signora venne a Berlino appositamente per sentirmi cantare perché mi disse “Per me ascoltarla è come una terapia”. Pur non avendo la lingua in comune, ecco che la musica ci ha uniti.

Il personaggio di Enzo ti piace?

Parlando della storia del periodo del Doge e Venezia, c’è un innamorato di una donna che non può avere; io cerco sempre di caratterizzare questo tipo di repertorio studiando il personaggio e cercare di capire veramente chi è poi che cosa avrebbe fatto in quel periodo Enzo Grimaldo. Lui era stato proscritto da Genova, Barnaba per punirlo del suo amore per Laura lo fa espellere da Venezia come un nemico infangandone il nome. Ogni sera quello che cerco di fare è innanzitutto emozionare il pubblico, farlo riflettere su ciò che facciamo e anche divulgare ancora un po’ di cultura e la lingua italiana che non è parlata fuori dall’opera lirica, sta diventando desueta.

Rispetto ad Enzo che è esuberante e focoso, Stefano La Colla com’è?

Stefano ci si rispecchia molto: il mio sangue è siculo, ho vissuto l’adolescenza metà a Livorno e metà in Sicilia: sembrano lontane ma sono realtà vicine. Sono comunità di mare, persone che si sono fatte da sole, cui piace lavorare sodo e a cui non è mai stato regalato nulla e quando tu riesci la vittoria è ancora più grande perché le persone lo avvertono. Le sere quando si è sul palco, che tu ti chiami Enzo Grimaldo o Mario Cavaradossi o Pinkerton, devi mettere in scena un personaggio. E io ringrazio il regista Olivier Py perché lui comprende questo aspetto: lui ha ricercato molto le sfumature sul libretto di Arrigo Boito, rintracciando le diverse figure della cattiveria, del rito satanico. Il pagliaccio sulla scena è il diavolo che potrebbe a primo impatto impressionare un po’. Olivier Py rappresenta le cose per come sono: non c’è da aver paura, non bisogna fare il bigotto o fingere che non sia vero. Il mondo ha avuto sempre queste cose: a volte non le vogliamo vedere, ma il mondo non è fatto di santi e brave persone. Ho notato che la prima sera il pubblico è stato colpito dalle scene forti: il sacrificio del bambino, la violenza sulle donne. Sono purtroppo fatti che accadono frequentemente oggigiorno. Py ha messo in scena la realtà. Enzo per me è un personaggio molto forte e qui grazie al sacrificio di Gioconda e indirettamente grazie a Barnaba riesce a capire l’obiettivo e a riscattarsi e a coronare il sogno d’amore con Laura.

Facile seguire le indicazioni di un regista?

Con Oliver non abbiamo parlato molto ma ci siamo capiti abbastanza bene grazie anche al suo assistente Daniel Izzo perché aveva già chiara l’idea e quando è così per i cantanti viene tutto più facile. Essendo una persona molto intelligente, ha sfruttato il materiale umano che aveva a disposizione, ha visto la mia figura, come lavoro io, ha capito la mia vocalità e insieme abbiamo lavorato per dare il miglior messaggio attraverso “La Gioconda” e mi sembra che sia riuscito tutto bene. Il regista intelligente è quello che ha un’idea precisa e ci lavora su coi personaggi che la devono mettere in scena. Con Py ci siamo capiti dal primo momento.

E col direttore d’orchestra?

È ben diverso. Bisogna seguire la musica e lavorare insieme su passaggi particolarmente difficili per poi offrire allo spettatore ultimo il messaggio finale. All’inizio orchestra e regia sono due lavori diversi: dopo si mettono in comune le idee e si ottiene un prodotto finale unico con il messaggio che si vuole veicolare.

Ha parlato con orgoglio della lunga gavetta: ci sono delle persone cui è grato particolarmente?

La fortuna di avere una voce che poteva già portarmi avanti è stata accompagnata dai miei insegnanti che ringrazio tantissimo, Luciana Serra e Carlo Mediciani, che ha appena compiuto 90 anni. Entrambi mi hanno dato tante cose sia a livello tecnico che umano. Il palcoscenico è un’altra cosa. Ringrazio la Germania che mi ha subito accolto: Regensburg, in Baviera, è stato il mio primo teatro in Germania, poi a Dortmund come secondo contratto e poi Berlino; da lì in teatri di classe A e la mia ascesa è stata veloce. Ho avuto la fortuna di avere studiato prima e di non essere stato “scoperto” abbastanza giovane avendo così tempo e opportunità di formarmi veramente. Questo lavoro è molto stressante: a volte ti trovi in altri continenti e al di là della stanchezza dei lavorare e dare il meglio di te. Devi avere la forza, l’energia, lo studio e la tecnica. Finora ci sono riuscito e sono contento di poter portare il nome dell’Italia ovunque.

Altri progetti dopo “La Gioconda”?

Ritorneremo a Berlino per la Turandot, seguirà una nuova produzione di Tosca a Piacenza e un grandissimo progetto a Monaco di Baviera per la ripresa con Anja Harteros di Andrea Chenier con cui debuttò Jonas Kaufmann. Il teatro voleva riproporlo specificando la volontà di avere me, chiedendo se io fossi disponibile.

 

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