Europa, unita sì… ma solo per lo sconto doganale

Giuseppe Arnò

Raggiunto l’accordo tra UE e USA per calmierare i
dazi al 15%: l’unica politica estera europea che
funziona è quella al supermercato. Chi ci guadagna?
Tutti, ma a patto di non chiedere troppi dettagli.

Ma quale politica estera europea! Ci prendiamo in
giro?
L’Unione Europea come attore internazionale? Solo se si
parla di tariffe. Il recentissimo accordo con gli Stati Uniti sui
dazi, fissati al 15% per una serie di prodotti chiave, sembra
essere l’unico caso in cui Bruxelles riesce a parlare con una
voce sola. Miracolo? No, interesse economico. Perché, come
sempre, quando c’è di mezzo il portafogli, l’unità si ritrova.
Altro che Palestina, Africa o Ucraina.
Nel frattempo, sullo scacchiere internazionale ogni Stato
membro continua a giocare per conto proprio, con mosse
da solista che metterebbero in crisi anche un maestro di
scacchi cieco. L’uscita di Macron sul riconoscimento della
Palestina, le iniziative di Spagna, Irlanda e perfino della
Norvegia (ospite fissa senza diritto di voto), ci ricordano
che il coordinamento europeo è più una fantasia erotica che
una strategia geopolitica.
Il termine “politica estera europea” ormai suona come uno
di quei vecchi slogan pubblicitari tipo “consegna in 24 ore”
o “offerta limitata”: tutti sanno che non è vero, ma fa
ancora scena.

Coordinamento europeo? Al massimo c’è coordinamento per
la stampa dei volantini.
In compenso, a Bruxelles continuano a parlare con
entusiasmo della “voce unica dell’Europa nel mondo”, ma si
tratta evidentemente di un problema di udito. Più che una
voce, si sente un coro stonato in cui ogni Paese canta la
sua parte, spesso anche fuori tempo. L’Italia, come sempre,
partecipa con entusiasmo, ma dimentica il testo.
Un accordo doganale e mezzo miracolo: ecco la vera
Unione
Eppure, attenzione: l’accordo commerciale raggiunto con
Washington è stato salutato da molti politici ed economisti
come una prova di maturità dell’Europa. O almeno del suo
istinto di conservazione. Perché se da un lato dimostra che
si può ancora negoziare in blocco, dall’altro ci ricorda che
l’unico tema su cui si può contare su Bruxelles è il
commercio. Meglio se si parla di acciaio, formaggi o chip e
non di diritti umani, difesa o sanzioni.
Von der Leyen l’ha definito “il più grande accordo
commerciale mai raggiunto”. Forse anche perché è l’unico
vero che si possa presentare con orgoglio in una conferenza
stampa senza che qualcuno faccia una domanda
imbarazzante.
Ma chi ci guadagna davvero? Apparentemente tutti. Gli
europei tirano un sospiro di sollievo sull’agroalimentare e
l’industria automobilistica. Gli americani mantengono la
barra del protezionismo moderato e portano a casa un bel
messaggio elettorale. I cinesi osservano e prendono
appunti. E i britannici? Probabilmente si sono persi l’email.
Interesse nazionale, 1 – Europa unita, 0
In questa Europa che riesce a unirsi solo davanti a una
minaccia doganale, resta comunque evidente il punto: non
esiste un’identità strategica condivisa. Ognuno continua a
ballare da solo, tranne quando arriva la musica dei dollari.

A quel punto, improvvisamente, ci si ritrova tutti a fare la
stessa coreografia – magari goffa, ma almeno coordinata.
Macron, sempre più acrobata tra l’europeismo e la grandeur
francese, lo sa bene: si può essere paladini dell’Unione la
mattina e portabandiera dell’interesse nazionale il
pomeriggio. È il nuovo stile continentale: elastico,
adattabile, altamente performativo. Un po’ come certi
tessuti tecnici.
Considerazioni finali (senza dazi):
Alla fine, la politica estera europea esiste. Ma è una specie
particolare: compare solo in presenza di minacce
economiche, di preferenza in forma di Excel. Per il resto,
resta sospesa tra i sogni di Altiero Spinelli e le risatine
ciniche di chi osserva come ogni Stato vada per conto suo
con la disinvoltura di chi sa che nessuno lo fermerà.
Che ci sia bisogno di cambiare testa, norme, ambizioni e
forse anche abitudini alimentari è fuori discussione. Ma nel
frattempo, consoliamoci: l’accordo sui dazi dimostra che, se
stimolati nel modo giusto (cioè sul punto giusto), gli
europei riescono ancora a fare qualcosa di buono e insieme.
Peccato che la geopolitica non si possa pagare con la
carta fedeltà.

Tutte l’opinioni versati nel sito correspondono solo a chi la manifesta. Non e necessariamente l’opinione della Direzione

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