Editoriale giugno 2023 divulgazione
EDITORIALE GIUGNO 2023
Lo abbiamo detto e continuiamo a dirlo: “il peggio deve ancora venire”. Dopo la carne e il pesce… eccoci al latte!
Il latte della discordia
Non quello della Centrale del Latte di Roma, che diede luogo all’annosa vicenda giudiziaria tra Cragnotti (Cirio) e Tanzi (Parmalat); quello è latte passato, pardon, acqua passata! Ci riferiamo, invece, al latte prodotto artificialmente in laboratorio, pomo della discordia tra la nostra civiltà e il futuro genetico; un avvenire fantastico e terrificante allo stesso tempo, per come più avanti diremo.
Ciberindustria lattiero-casearia
Ultim’ora: «Israele sta per diventare primo produttore mondiale di latte sintetico». In altre parole, dopo tutte le fantasticherie culinarie su vermi, ragni, locuste, farine di grillo, vini annacquati e quant’altro, il menù europeo si espande: alla carne coltivata e al pesce stampato in 3D si aggiunge il latte senza mucche, ovvero il latte fatto in laboratorio, prodotto con la fermentazione di alcuni tipi di lievito attraverso cui si ricavano le omonime proteine. Nascono così, chi l’avrebbe mai detto, i caseifici senza mucche.
Si vocifera che la causazione di tale processo laboratoriale innovativo sia dovuta al fatto che circa il 40% delle emissioni nocive derivanti dagli allevamenti dei bovini risulta provocato dalla digestione di questi ultimi che, attraverso fetide scoregge e potenti rutti, mettono in circolo un dannoso gas metano e che, convivendo con un miliardo e mezzo di capi di detto bestiame sullo stesso pianeta, prima o poi, saremo costretti a circolare con la maschera antigas, per difenderci dalle cattive esalazioni.
Ma, a parte il fatto che quanto esposto possa essere divertente, surreale o strumentale, esiste davvero una giustificazione ragionevole, scientifica e convincente a favore dell’eliminazione della specie bovina e tale da farci accettare latte e carne sintetici?
Certo che l’idea di eliminare le vacche non attecchirebbe facilmente in India: da quelle parti non di rado avvengono linciaggi di cittadini accusati di aver maltrattato una mucca e la difesa della sacertà dei bovini ha persino provocato, in altri tempi, sanguinosi conflitti.
Maalox Plus per le mucche scoreggione!
Sdrammatizzando: non sarebbe più facile mischiare Maalox Plus al mangime del «pio bove» e mantenere nel nostro menu il tradizionale arrosto di vitello al latte: uno dei secondi piatti più amati da grandi e piccini? Ma ecco che, scherzi a parte e data la portata del problema, ingegnosi imprenditori si sono già impegnati nella ricerca di una possibile soluzione: secondo quanto riportato dal New York Times, infatti, diverse aziende hanno già sperimentato con successo un prodotto commestibile che riduce considerevolmente le emissioni di gas nel processo digestivo delle mucche. Tra le industrie all’avanguardia nello studio e nella ricerca di detto ritrovato si segnalano l’olandese Koninklijke DSM N.V. e la multinazionale anglo-svizzera AgriTech Mootral.
Chi vivrà vedrà e ne vedrà di tutti i colori!
Ecco dunque aperta la contesa tra gli uomini di scienza [gruppi finanziari n.d.r.]: da una parte quelli del latte sintetico (anti bovini) e dall’altra quelli del “Maalox veterinario” contro la flatulenza (pro bovini)! Tuttavia, comunque vada a finire questa competizione nonché la discutibile trovata del latte artefatto, c’è da dire che Israele già gongola per il successo scientifico e per i futuri vantaggi economici, mentre a Kalundborg (Danimarca) si è già diffusa la notizia dell’apertura di una enorme fabbrica per la produzione su scala industriale di latte sintetico o, più propriamente, «coltivato».
Per contro, Coldiretti, per bocca del proprio presidente Ettore Prandini, avvisa: «… nei prodotti a base cellulare si utilizzano ormoni che invece sono vietati negli allevamenti europei dal 1996» e, in un´intervista resa al giornalista Gianluca Pirovano, aggiunge «… fa parte di una strategia delle multinazionali che puntano con operazioni di marketing a distruggere la sana alimentazione fondata su prodotti di qualità e frutto della tradizione di generazioni di agricoltori»; Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, definisce un atto gravissimo sostituire i prodotti naturali con ritrovati laboratoriali; Paolo Zanetti, presidente di Assolatte, mette il punto sulla necessità di salvare il latte, quello genuino, il bovino, che rappresenta un vero patrimonio mondiale dell´umanità; e, non ultimo, il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, tuona: «Stiamo difendendo il futuro dei nostri figli e del mondo, è giusto mettere la qualità al centro del cibo che mangiamo».
Insomma, in Italia notiamo una levata di scudi generale contro l´”insurrezione” digitale; la rivoluzione alimentare, l’inquietudine di ignorare dove si stia andando; e il timore di vederci trasformati in automi, in una civiltà cibernetica, superficiale e soprattutto priva di umanità. Al di fuori delle mura di casa, invece, si fa a gara per eliminare vieppiù i prodotti naturali e per farci trangugiare quelli manufatti, ingegnerizzati, in nome dell’innovazione e della sostenibilità.
Non avvezzi a cotante ‘innovazioni’, coloro che la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria pone nella fascia della terza età probabilmente le definiranno come cose dell’altro mondo, ma ecco che, a proposito dell’aldilà, ci viene in mente Anita Ekberg buonanima, la quale, da vamp pro latte, sicuramente si starà rivoltando nella tomba. Nel film Boccaccio`70, ella, giunonica e scollacciata, nel secondo atto «Le tentazioni del dottor Antonio» a firma Fellini, appariva, in un enorme cartellone pubblicitario, sdraiata su un fianco con in mano un bicchiere di latte vaccino; associando così il latte al suo seno esuberante, carnoso e giunonico. Ma quelli erano gli anni dorati! Orsù, riposa in pace indimenticabile Anita; la tua è stata la miglior stagione: magica, unica, speranzosa… oggi, purtroppo, viviamo tempi balordi e persino la speranza ha perso la sua magia!
Bene, dunque, da che parte stare?
In Italia, per come è noto, è vietata ogni opzione di laboratorio al cibo tradizionale, anche se, dobbiamo ammetterlo, si potrebbe trattare francamente di un’area di ricerca favorevole al benessere ambientale, animale e fors’anche (questo è però tutto da dimostrare) alla sicurezza alimentare.
Sotto altro aspetto, v’è che i cibi prodotti in laboratorio, senza sfruttamento animale, rappresentano da una parte quel futuro sconcertante che ingrassa i profitti di Wall Street et similia, dall’altra cancellano la nostra cultura; i nostri gusti; le nostre tradizioni; e il nostro modello di civiltà, dei cui frutti per millenni ci siamo nutriti.
Oltre a ciò, non esiste nulla di più conturbante che sentirsi spettatori impotenti e in completa balia degli eventi di questo strano mondo, senza possibilità di essere artefici del nostro proprio destino e, peggio che mai, di poterci quanto meno scegliere l’atavico e genuino menu del giorno: quello con cui ci siamo cresciuti e pasciuti, da sempre!
Dall’utopia alla realtà
«Durante il giorno i cittadini possono indossare solo indumenti di colore bianco e di notte solo di colore rosso, mentre il nero è vietato». Si tratta di uno stralcio de «La città del sole», opera filosofica del frate domenicano calabrese Tommaso Campanella. In quell’utopica città ogni atto umano è rigorosamente regolato. L’intransigenza assoluta sull’ordine e sulla disciplina annienta le libertà individuali: l’atto sessuale procreativo, ad esempio, è deciso da appositi funzionari sia sull´an che sul quantum, ovvero sia sulla consumazione che sulla durata dello stesso. Insomma, in detta opera si riscontra, per certi aspetti, un’anticipazione della realtà distopica di George Orwell nel romanzo fantascientifico “1984”, in cui una dittatura totalitaria, da cui è impossibile sfuggire, interferisce e condiziona completamente la vita privata dei cittadini.
Certo che, visto come gira il mondo, sia l’opera di Campanella che quella di Orwell assumono nuova validità nella società odierna, già monitorata, spersonalizzata e impecorita, e servono certamente da avvertimento, se esso può, a questo punto, essere davvero di qualche giovamento.
La paura dell’innovazione
Bisogna pur ammetterlo, sorge ancora un problema: l’innovazione oggi va di moda ma fa paura! L’ignoto, come si sa, genera timore nell’essere umano anche se c’è sempre chi invece ne è stimolato, come gli scienziati e gli imprenditori intraprendenti. Tuttavia, sappiamo da sempre che ogni scoperta, e cioè ogni acquisizione di nuove conoscenze oriunda dalla rivelazione di realtà sconosciute o di fenomeni prima inesplicabili, se utilizzata a fin di bene apporta progresso, ma se invece cade nelle mani sbagliate… guai a noi: il nucleare docet!
L’intelligenza artificiale progredisce molto rapidamente e darà all’uomo poteri spaventosamente straordinari; la medicina sta facendo passi da gigante e, a mezzo di circuiti integrati miniaturizzati, presto controllerà i nostri parametri di salute prevenendo e impedendo il verificarsi di malattie incurabili e non solo. Insomma, il futuro del mondo hi-tech è in arrivo: fresca di stampa e molto a proposito ci giunge la notizia secondo cui al Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma è stata effettuata la prima gastroscopia al mondo senza tubo con una video-pillola (NaviCam Stomach System), ma, anche in queste nuove realtà, se il satrapello di turno violerà il sistema di gestione dei dati operativi… buonanotte ai suonatori!
Che fare?
La prima risposta che viene in mente ci ispira a considerare la possibilità di studiare adeguate forme di controllo parallelamente alle nuove scoperte, anche se sappiamo per esperienza che detto accorgimento non funziona. Un adagio recita: «Il male, al contrario del bene, ha il duplice privilegio di essere affascinante e contagioso», per cui sempre ci sarà un criminale affascinato e contagiato dalla possibilità di mettere in pericolo l’esistenza dei suoi simili. Ecco che non troveremo mai una soluzione alla questione sicurezza, alla paura dell’innovazione.
A conferma di detta conclusione ricordiamo la denuncia di pericolosità dei nuovi strumenti tech da parte del CEO di OpenAI Sam Altman; il grido di apprensione del senatore statunitense Lindsey Graham, che ha paragonato l´IA a un reattore nucleare; la lettera allarmistica di Elon Musk, sottoscritta da altri mille esperti; e, a completamento della rosa degli illustri addetti ai lavori, il passo indietro nell´attività di ricerca fatto dal padre dell´IA, Geoffrey Hinton, il quale si è sentito responsabile di creare un´arma che potrebbe polverizzare l´umanità.
Siamo alla resa dei conti?
Tant’è: infatti mentre ci si arrovella il cervello su come realizzare il progresso sano e non utilizzabile a fin di male; su come abbandonare le fonti di energia consumabili in favore di quelle rinnovabili; sulla composizione del menu a base di surrogati vegetali, in nome della sostenibilità; e, per ultimo, su come salvare da una brutta fine questo mondo abitato da più matti che savi, la terra è condannata a morte.
Proprio così: ce lo conferma l’astrofisico francese David Elbaz, secondo cui la terra verrà fagocitata dal sole; non dall’oggi al domani, ma nel tempo a venire! Non a caso accorti scienziati si dedicano costantemente alla ricerca dell’abitabilità planetaria, ovvero degli esopianeti potenzialmente abitabili. Dicevamo dunque che la terra è condannata a scomparire, ma detta rivelazione potrebbe rappresentare solo una desunzione scientifica dal momento che, per ora, la maggiore attenzione va rivolta al seguente quesito: scompariremo prima noi o la terra, assieme a noi?
Per come vanno le cose, ma in particolare con relazione alla crescente disumanizzazione sociale e al conseguente progresso della robotizzazione, diremmo che purtroppo saremo noi ad andarcene per primi. A questo proposito, vale la pena ricordare la famosa frase di Cassie Sullivan nel film fantascientifico e post apocalittico di J. Blakeson “La quinta onda” (The 5th Wave), che recita così: «Come sterminare il genere umano? Semplice, basta privarlo della sua umanità».
Beh, allora? Siamo lì a due passi!
Giuseppe Arnò
Tutte l’opinioni versati nel sito correspondono solo a chi la manifesta. Non e necessariamente l’opinione della Direzione.