Di Pierfranco Bruni*
Si apre la stagione post estiva con le celebrazioni del centenario dalla nascita del filosofo Manlio Sgalambro. Uno sguardo a tutto tondo su quella filosofia del dubbio che si confronta con la verità ricercata. Non trovata. Le opere di Sgalambro a cominciare dalla metafora del sole sino all’età come orizzonte in tramonto sono riferimento.
C’è sempre un mondo pessimo che esprime la conoscenza del peggio. In una vita reale c’è un sottosuolo che nasconde un’altra vita, ovvero quella vera. Il reale e il vero. A quale dei due punti labirintici fare affidamento?
Ci poniamo domande che se fossero pronte le risposte. Se di filosofia occorre viaggiare non è facile trascrivere la domanda e la successiva risposta. Perché pur riflettendo a lungo mancano molte risposte. In politica e nel privato partendo dal presupposto che il privato non è politico, ma è semplicemente l’unico intimo.
Manlio Sgalambro ci conduce verso questo viaggio che ha sempre l’attesa dell’invito. Se non siamo stati inviati al viaggio come ci apprestiamo al viaggio. Neppure Baudelaire è riuscito a dare un senso a ciò. Anche se tra poesia e filosofia il cunicolo è abbastanza stretto.
Elaboriamo filosofia ma non poesia. La poesia non è mai un laboratorio. È una inventiva fantastico – magico. Il creativo giunge senza il pensiero pensato. La filosofia ci tocca nel momento in cui il pensato si spazia come il pensiero.
Più che in Platone siamo in Plotino anche se la caverna resta in ogni coscienza in solitudine. Come in Camus. L’isola alla quale ci aggrappiamo è una metafisica della solitudine che si rappresenta.
Forse Schopenhauer potrebbe venirci in aiuto ammesso che abbia risolto i suoi problemi con gli Orienti. Come potrebbe venirci in aiuto il mondo sciamano di Zarathustra ammesso che si sia conciliato con Nietzsche.
Comunque resta una ferita aperta quella misantropia dell’uomo di sempre che Sgalambro ha riportato nella conoscenza del mondo pessimo o nell’età come trattato epistemologico.
Abitarlo questo tempo. Ci dice Maria Zambrano. Abitare il possibile è rendere il bosco, nel quale vi troviamo, illuminato. Da cosa? Da un chiaro che annuncia l’aurora. Ma questa è già la speranza che si fa strada. Quindi il buio pur considerandolo possibile si estende nell’impossibilità di vivere il buio.
L’impossibile notte scura di Hegel si rompe con un taglio di luce. Tutto questo non è ricerca. È viaggio. Lo ha definito Manlio Sgalambro portandosi dietro una dote filosofica e poetica non indifferente. Una eredità che ha come epicentro quella grecità dalla quale, oltre Giorgia, il pensiero ha la verità del dubbio.
D’altronde l’abisso e l’assurdo sono meteore cadute nella parola e l’hanno incendiata con il fuoco mai fatuo tra La Rochelle e Yourcenar. Il fuoco è la recita del mito che rende la sostanza immateriale archetipo. Cerchiamo il vero. Non il reale. Dunque.
Siamo al punto. Dal punto si riparte. Non si chiude mai.
Allora, riprendiamo un discorso, mai interrotto, su un filosofo che costituisce l’asse portante e decisivo di una sintesi tra pensiero ricerca e creatività.
*Presidente Comitato Nazionale Celebrazioni Centenario Manlio Sgalambro del Mic