| Carlo Di Stanislao |
«Il cinema è il più perfetto di tutti i mezzi d’espressione perché restituisce alla realtà la sua profondità.» – André Bazin
Oggi il Festival di Venezia si apre come un grande sipario su emozioni, epoche e dimensioni dell’immaginario umano. La Laguna riflette il sole estivo mentre il Lido si riempie di spettatori curiosi, giornalisti affannati e artisti dall’aria assorta, tutti pronti a lasciarsi sorprendere. In questa edizione, tre momenti sembrano condensare la magia del cinema, della pittura e della memoria: il ritorno di Francesco Rosi in bianco e nero sulle strade di Napoli, il sogno ventennale di Guillermo del Toro su Frankenstein, e lo sguardo distolto, mai distratto di San Tommaso nel capolavoro del Ghirlandaio.
Rosi e Napoli: il bianco e nero che racconta il cuore della città
Aprendo la giornata, il pubblico ha avuto l’opportunità di immergersi nel nuovo progetto di Francesco Rosi, un film in bianco e nero che sembra dialogare direttamente con le ombre e le luci di Napoli. L’atmosfera ricorda i giorni in cui Rosi osservava la città come un occhio vigile e partecipativo: i vicoli stretti, i panni stesi al sole, le chiacchiere dei mercati e il brusio delle piazze sembrano diventare personaggi essi stessi.
Il bianco e nero non è qui semplice scelta estetica: è lente poetica, strumento per rivelare contrasti che il colore spesso nasconde. La Napoli di Rosi non è solo geografica, ma emotiva e sociale: la macchina da presa scivola tra storie di fatica e speranza, tra generazioni che si sfiorano e si confrontano senza mai smettere di respirare la città. Ogni dettaglio – un lampione arrugginito, il sorriso di un bambino che corre, il passo lento di un anziano – diventa simbolo di un tessuto umano vivo, vibrante, eppure fragile. In un festival che spesso celebra l’eccezionale, questa opera ci ricorda il valore del quotidiano, la forza dei dettagli minimi che costruiscono l’anima di un luogo.
Del Toro e Frankenstein: il sogno di una vita
Dalla penombra dei vicoli napoletani alla luce fantastica della creatura di Frankenstein, Guillermo del Toro presenta ciò che definisce “il film dei miei sogni da una vita”. L’attesa di questo lavoro ha alimentato l’immaginazione di critici e appassionati: finalmente, l’universo gotico e poetico del regista messicano prende forma intorno alla storia senza tempo del mostro più celebre della letteratura.
Del Toro promette un Frankenstein che non è soltanto terrore, ma empatia, riflessione e poesia visiva. I dettagli scenografici, i costumi e l’uso della luce – già visibili nel teaser proiettato in anteprima – creano un mondo sospeso tra sogno e incubo, dove ogni ombra racconta qualcosa di più del semplice orrore. La proiezione ha lasciato la platea in un silenzio sospeso, come se tutti avessero condiviso un’esperienza intima, privata e universale allo stesso tempo. Le scelte narrative di Del Toro non solo reinventano la figura del mostro, ma interrogano la nostra capacità di provare compassione, di accettare ciò che è diverso, di vedere la bellezza anche nelle imperfezioni.
San Tommaso: lo sguardo distolto del Ghirlandaio
Se il cinema esplora la narrazione attraverso il tempo e lo spazio, l’arte pittorica lo fa attraverso lo sguardo. Il Festival dedica uno spazio insolito ma sorprendente a una riflessione sul quadro del Ghirlandaio con San Tommaso. Lo sguardo dell’apostolo non è distratto, come potrebbe sembrare a un’osservazione superficiale: è distolto, assorto, penetrante, capace di cogliere verità invisibili agli altri personaggi e, simbolicamente, agli spettatori.
Questa distensione dello sguardo è un invito a rallentare, a percepire il mondo con attenzione, a trovare il senso non nell’immediato ma nella profondità del dettaglio. L’arte del Ghirlandaio diventa così una forma di meditazione visiva, parallela a quella cinematografica: Rosi cattura il dettaglio urbano, Del Toro costruisce mondi sospesi tra immaginazione e paura, e Ghirlandaio ci insegna che osservare con vera attenzione significa comprendere oltre l’apparenza. In questo senso, lo sguardo distolto di San Tommaso diventa metafora del pubblico stesso: per apprezzare pienamente l’arte, bisogna imparare a distogliere lo sguardo dalla frenesia e immergersi nella contemplazione.
Venezia: il filo sottile tra passato e futuro
La giornata di oggi al Festival di Venezia sembra tessere un filo invisibile tra memoria, sogno e percezione. Da Rosi a Del Toro, dalla Napoli reale ai mondi fantastici, fino allo sguardo silenzioso di San Tommaso, emerge un tema comune: la capacità dell’arte di farci sentire più vivi, più consapevoli, più presenti. La tecnica cambia, il linguaggio evolve, ma la sostanza resta: emozionare, stupire, interrogare.
Il pubblico cammina tra sale piene e calli tranquille, tra proiezioni e mostre, tra applausi e sussurri, consapevole di partecipare a qualcosa di unico. Venezia non è solo un festival: è uno specchio della cultura contemporanea che riflette passioni, ossessioni e desideri dell’umanità. Ogni opera, ogni quadro, ogni film è un frammento di specchio, un invito a guardare il mondo con occhi nuovi, a percepire la realtà con maggiore profondità e a riscoprire la meraviglia in ciò che ci circonda.
Il segreto della bellezza: attenzione e sogno
Alla fine della giornata, rimane impressa la lezione più sottile e potente. Rosi ci ricorda che la realtà, se osservata con cura, è già magia; Del Toro che i sogni, se perseguiti con coraggio, diventano realtà; Ghirlandaio che lo sguardo, se distolto con consapevolezza, può cogliere verità nascoste.
Come scrisse un giorno Antoine de Saint-Exupéry: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.” Oggi, a Venezia, la lezione si rinnova: il cuore e l’immaginazione guidano l’esperienza, mentre gli occhi seguono la luce, l’ombra e il dettaglio che rendono il mondo infinitamente più ricco, profondo e meraviglioso.
