Ubiqua: quando la luce si fa poesia

Carlo Di Stanislao


«La fotografia è, a un tempo, il riconoscimento in un frammento di realtà e la sua trasfigurazione in immagine. Essa non dice mai solo ciò che mostra.»

— Susan Sontag

C’è chi continua a considerare la fotografia un’arte minore, una sorella minore della pittura e della poesia, un’imitazione della realtà più che un linguaggio autonomo. Eppure, come accade per tutte le arti che davvero contano, la fotografia resiste, muta, si reinventa, e infine ritorna. Ed è proprio in questo ritorno, sospeso tra il gesto tecnico e quello poetico, che si inserisce Ubiqua, il festival in programma dall’11 al 14 settembre 2025 al Museo Nazionale di Fotografia (MUNAF) di Cinisello Balsamo.

Il titolo non è casuale: ubiqua è la poesia che scivola dentro l’immagine, ubiqua è la luce che attraversa il tempo, ubiqua è la memoria che torna negli sguardi fissati dall’obiettivo. Un festival che non si accontenta di esporre fotografie, ma che vuole far parlare le immagini, incrociandole con i versi, le voci, i corpi.

Muffone e il suo errore profetico

Per capire la portata dell’evento bisogna fare un passo indietro. Nel 1887 Giovanni Muffone pubblicava il manuale Come il sole dipinge. Fotografia per i dilettanti. Un piccolo libro, destinato a un pubblico curioso, che conteneva una clamorosa affermazione: «Non ho mai visto un fotografo poeta!». Una frase che oggi suona non solo ingenua, ma quasi ironica. Se c’è qualcosa che il Novecento e il nuovo millennio hanno dimostrato, è che i fotografi possono essere – e spesso sono – poeti della luce.

Basti pensare a Dora Maar, che trascrisse nel negativo le inquietudini surrealiste; a Mario Giacomelli, capace di far vibrare le colline marchigiane come fossero spartiti musicali; a Giovanni Gastel, che trasformava i volti in icone e i versi in ritratti dell’anima. Muffone si sbagliava: non solo i fotografi possono essere poeti, ma in certi casi hanno saputo allargare i confini stessi della poesia.

Giovanni Gastel, tra bellezza e ferita

Non è un caso che il festival prenda le mosse da Gastel. Nipote di Luchino Visconti, fotografo di moda tra i più noti in Europa, ma anche instancabile scrittore di versi, Gastel è stato uno degli interpreti più profondi del rapporto tra immagine e parola. «Ho guardato me stesso nel vetro della foto… mancava ancora tutto il peso del vivere», scriveva in una poesia del 2020, poco prima che il Covid lo strappasse alla vita.

Quella tensione fra bellezza e ferita, fra eleganza e dolore, è il cuore del suo lascito. Per questo il festival Ubiqua gli dedica proiezioni, incontri, un documentario (Il mondo fuori di Camilla Morino) e una costellazione di eventi che trasformano Cinisello Balsamo in un palcoscenico diffuso.

Fotografia, poesia, città

Il festival non resta chiuso nelle sale di Villa Ghirlanda, sede del MUNAF: esce, si diffonde, si contamina. “Poesia in piazza” non è solo uno slogan, ma un’azione concreta: reading urbani, installazioni luminose, happening collettivi che mettono in contatto cittadini e artisti.

L’idea, spiega Davide Rondoni – poeta e presidente del MUNAF – è contrastare il rischio che la fotografia, resa iper-accessibile dalla tecnologia, perda la sua magia. In un’epoca di smartphone e scatti compulsivi, il pericolo è che l’immagine diventi un rumore di fondo, incapace di dire altro che se stessa. Solo se torna a interrogarsi sull’autore, come fa la poesia, può ritrovare senso e necessità.

Mostre e ritratti: poeti allo specchio

Fra i momenti più attesi vi sono le due grandi mostre collettive:

  • Scrittura Obliqua, progetto nato da una call ministeriale, che raccoglie opere di fotografi contemporanei come Luca Campigotto, Linda Fregni Nagler, Alessandro Sambini. Un mosaico di linguaggi che esplorano la possibilità di scrivere con la luce, piegando la fotografia a diventare gesto poetico.
  • Cantami qualcosa pari alla vita. Alla faccia dei poeti, che mette in scena ritratti di autrici e autori del Novecento: Umberto Saba ritratto da Patellani nel 1946; Pier Paolo Pasolini e Laura Betti nell’indimenticabile scatto di Elisabetta Catalano all’EUR nel 1969; Amelia Rosselli fotografata da Dino Ignani nel suo appartamento romano nel 1982. Immagini che non sono semplici documenti, ma veri atti poetici.

È in queste fotografie che la distanza tra visivo e verbale si annulla. L’obiettivo non descrive, ma evoca. Non congela, ma apre.

Il laboratorio delle contaminazioni

Oltre alle mostre, Ubiqua è un laboratorio vivo: workshop, performance, esperienze immersive. Si va dalle sperimentazioni editoriali di DITO Publishing alle installazioni multisensoriali di Carlotta Cicci e Stefano Massari, fino ai concerti di elettronica a cura di Le Cannibale.

Qui la fotografia non è più un atto solitario, ma un campo di forze: dialoga con il suono, con il corpo, con la tecnologia digitale. Non a caso uno degli eventi più curiosi è The Eye for Ubiqua, performance interattiva di Dino Esposito e Gennaro Bosone, che trasforma lo sguardo del pubblico in parte dell’opera.

Pasolini, Betti e l’eco del Novecento

Impossibile, parlando di fotografia e poesia in Italia, non evocare Pasolini. La sua amicizia con Laura Betti, il suo corpo minuto e fragile, i suoi occhi sempre altrove: nell’immagine di Catalano scattata nel 1969 all’EUR c’è tutta la tensione di un’epoca. Una Roma che cambiava, un intellettuale che vedeva più in là, un’attrice che lo accompagnava nelle battaglie culturali.

Quelle foto sono più che ritratti: sono documenti di una coscienza nazionale. Ricordano che la fotografia non è mai neutra: è politica, è scelta, è testimonianza. E che la poesia, quando incontra l’immagine, diventa ancora più urticante, ancora più necessaria.

Poesia come resistenza

In tempi in cui tutto sembra consumarsi nella velocità dello scroll, festival come Ubiqua hanno un valore che va oltre l’arte. Sono atti di resistenza culturale. Invitano a fermarsi, a guardare, a leggere. A riconoscere nello sguardo dell’altro una parte di noi stessi.

«Lo sguardo chiama/ L’infinito ci ascolta/ Si fa trovare», scriveva Giovanni Chiaramonte in un suo haiku. È questa la promessa della fotografia-poesia: che l’infinito, per un attimo, si lasci intravedere.

Un museo nazionale, finalmente

Il MUNAF, che ospita il festival, è oggi l’unico museo pubblico interamente dedicato alla fotografia in Italia. Con il nuovo statuto e l’ingresso del Ministero della Cultura tra gli enti fondatori, si candida a diventare un centro di riferimento internazionale. Non è poco, in un Paese che spesso ha relegato la fotografia a ruolo ancillare.

Portare un festival come Ubiqua a Cinisello Balsamo significa dunque anche riscattare la periferia, trasformandola in polo creativo. La Villa Ghirlanda, con i suoi spazi seicenteschi, non è solo cornice: è parte del linguaggio.

Conclusione: la luce che ci riguarda

Alla fine, ciò che resta non è solo un cartellone ricco di eventi, ma una domanda: che cos’è la fotografia oggi? È ancora arte, memoria, testimonianza? O rischia di dissolversi in un oceano di immagini anonime?

Ubiqua risponde a suo modo: la fotografia resta, quando si ricorda di essere poesia. Quando non si limita a riprodurre, ma a trasformare. Quando riesce a fare della luce un atto di pensiero.

Forse Giovanni Muffone, con la sua frase tagliente del 1887, aveva solo bisogno di attendere un secolo e mezzo per essere smentito. Perché i fotografi poeti ci sono eccome. E a Cinisello Balsamo, dall’11 al 14 settembre, sarà impossibile ignorarli.

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