| Carlo Di Stanislao |
«Non c’è notte tanto lunga da impedire al sole di risorgere.»
— Jim Morrison
La depressione, parola spesso nascosta dietro veli di silenzio e di vergogna, è diventata parte integrante della vicenda pubblica e privata di Vittorio Sgarbi. Critico d’arte tra i più noti, polemista instancabile, ex sottosegretario alla Cultura, uomo di televisione e di piazza, Sgarbi è sempre stato sinonimo di vitalità incontenibile, energia verbale e intellettuale, eccesso travolgente. Eppure, proprio lui, simbolo di sovrabbondanza e di spettacolo, si è ritrovato a raccontare il suo crollo, il suo silenzio interiore, la sua caduta nella depressione.
In questi mesi, il dolore privato è diventato racconto pubblico. Non una confessione da salotto, ma una sorta di autoritratto crudele, nel quale il critico d’arte mostra il lato più fragile di sé. Il risultato è una vicenda che non parla solo di un uomo, ma della condizione umana, del rapporto tra politica e fragilità, del ruolo salvifico dell’amore e della funzione terapeutica dell’arte.
Un crollo che spiazza
Chi conosce Sgarbi lo ha visto infiammarsi in talk show, tuonare in parlamento, incantare platee con lezioni improvvisate sui grandi maestri, attraversare notti intere di dibattiti senza mai apparire stanco. La sua figura sembrava impermeabile alla stanchezza, alle ferite, persino al tempo. Eppure, dopo le dimissioni dal governo, il suo corpo e la sua mente hanno cominciato a cedere.
Il critico ha raccontato di aver perso l’appetito, la voglia di vivere, il desiderio persino di guardare un quadro o di leggere un libro. Giorno dopo giorno, la depressione si è manifestata anche fisicamente: un corpo dimagrito fino a 59 chili, un volto scavato, un’energia evaporata. Un uomo che aveva fatto del “troppo” la sua cifra si è trovato a vivere nel “nulla”.
La sorpresa è stata generale. Come poteva un uomo come lui, che sembrava abitare sempre il lato rumoroso della vita, sprofondare nel silenzio e nel buio? Forse proprio per questo la sua confessione ha colpito così tanto: perché ha mostrato che la depressione non ha volto né categoria.
La politica come ferita
La miccia della crisi è stata la politica. Le dimissioni da sottosegretario, imposte a causa di un’inchiesta sulle sue attività parallele, hanno rappresentato per lui non solo una caduta di carriera, ma un vero e proprio tradimento. Sgarbi si è sentito esposto, sacrificato, abbandonato da chi avrebbe dovuto difenderlo.
La politica, si sa, è un palcoscenico spietato, che costruisce e distrugge in pochi giorni. Ma per chi vive di riconoscimento e di pubblico confronto, perdere la scena equivale a perdere il senso stesso della propria identità. È accaduto a molti uomini politici, artisti, intellettuali. Sgarbi, in questo, non fa eccezione: ha subito la stessa solitudine che toccò, in altre forme, a Craxi, a Pasolini, a tanti altri che si sono trovati improvvisamente al centro del bersaglio.
La depressione, dunque, non nasce nel vuoto: è l’eco di una ferita sociale e politica, il segno di un sistema che non conosce pietà per i suoi protagonisti.
L’amore che salva
Se la politica ha scavato la ferita, l’amore ha fatto da balsamo. Sabrina Colle, compagna di una vita, è diventata il suo punto di appoggio. Non una presenza accessoria, ma la vera protagonista della rinascita. Sgarbi lo ha detto con parole semplici e dirette: senza di lei non sarebbe risalito.
In pubblico ha promesso di sposarla, gesto che ha il sapore di una rivelazione: dopo una vita segnata da passioni, avventure, polemiche, colpi di scena, ecco il riconoscimento della forza silenziosa dell’amore fedele. È lei che lo ha convinto a mangiare di nuovo, che lo ha accompagnato fuori casa, che lo ha riportato a vedere il sole e i colori.
Ma non è stata sola. La sorella Elisabetta, instancabile, ha provato a sostenerlo con gesti concreti, come portarlo a cena nei ristoranti preferiti. Le figlie hanno avuto ruoli diversi: alcune più vicine, altre in conflitto. Attorno a lui si è formata una costellazione di affetti e di cure, che ha reso possibile la lenta risalita.
L’arte come medicina dell’anima
Per un uomo che ha sempre considerato l’arte come linfa vitale, la perdita del desiderio estetico è stata un colpo durissimo. Non riuscire a trovare sollievo nemmeno davanti a un quadro di Caravaggio o di Raffaello era come perdere la propria identità. Ma proprio in questo vuoto ha scoperto la funzione terapeutica dell’arte.
Un esempio è Artemisia Gentileschi. Sgarbi stesso ha raccontato di averla sempre giudicata con un certo distacco critico. Ma negli ultimi mesi, la sua vicenda di donna violata, capace di trasformare il dolore in pittura, è diventata per lui un modello. “Se ha resistito lei”, sembra aver pensato, “posso resistere anch’io”.
Allo stesso modo, i quadri di Piero della Francesca hanno avuto la funzione di calmante interiore: la geometria delle forme, l’armonia dei colori, la luce diffusa come promessa di ordine e serenità.
Per Sgarbi, guardare un’opera non è mai un gesto neutro: è un dialogo con l’artista, un confronto tra anime. E in questo dialogo ha trovato forza, come se i grandi maestri fossero diventati compagni di terapia.
La famiglia e le ferite aperte
Accanto all’amore e all’arte restano, però, le ferite della famiglia. La richiesta di interdizione avanzata dalla figlia Evelina è stata vissuta come uno strappo insanabile. Per un padre, essere messo in discussione dai propri figli è forse il dolore più grande.
Questa vicenda non riguarda solo i rapporti patrimoniali, ma tocca corde profonde: fiducia, amore, tradimento. In un uomo pubblico, tutto si amplifica. Ma la questione è universale: chiunque abbia vissuto conflitti familiari sa quanto possano ferire più delle accuse pubbliche.
Eppure, altre figlie hanno scelto strade diverse: Alba, ad esempio, è rimasta vicina al padre. Anche qui si delinea un chiaroscuro: affetti divisi, conflitti e riconciliazioni, come in un dramma familiare che sembra uscito da un romanzo ottocentesco.
Le letture della rinascita
Durante i mesi più duri, Sgarbi ha trovato compagnia nei libri. Tra questi, Ferdydurke di Witold Gombrowicz, un romanzo che affronta con ironia e crudezza il tema dell’identità e dell’assurdo sociale. Non è stata una lettura casuale: dentro quelle pagine, Sgarbi ha trovato un riflesso della propria condizione.
“Non sono morto”, cita dal romanzo, come fosse una dichiarazione di intenti. La letteratura, come l’arte, è diventata parte di un percorso terapeutico, capace di riportare senso dove regnava il caos.
Il significato di una confessione pubblica
Perché raccontare tutto questo? Perché un uomo così noto e così esposto ha scelto di confessare la sua depressione? Forse perché la confessione è stata un atto liberatorio. Forse perché chi ha sempre parlato a voce alta non poteva che condividere anche il proprio dolore.
Ma c’è di più: c’è la volontà di trasformare la vicenda personale in testimonianza. Mostrare che la depressione non è vergogna, che non riguarda solo i “deboli”, che può colpire chiunque. In questo senso, la confessione assume un valore politico e culturale: diventa un messaggio alla società.
Verso una nuova stagione
Oggi, lentamente, Sgarbi è tornato alla vita. Scrive, progetta spettacoli teatrali, organizza mostre. Ha ritrovato l’appetito, il desiderio, la voglia di esserci. Non è lo stesso uomo di prima: le ferite hanno lasciato cicatrici, la voce ha un tono più intimo, lo sguardo una consapevolezza diversa.
Se la sua vita fosse un quadro, questa fase sarebbe un Caravaggio: buio profondo, ma anche luce violenta che squarcia le tenebre. Non una serenità pacifica, ma una lotta tra ombra e chiarore, tra caduta e risalita.
Conclusione
Il racconto di Sgarbi non è solo la storia di un critico d’arte, ma un messaggio universale. È la dimostrazione che la depressione può colpire chiunque, che la politica può logorare anche i suoi protagonisti più vitali, che l’amore e la bellezza possono diventare strumenti di salvezza.
Oggi, Sgarbi ci consegna il suo autoritratto più autentico: non quello dell’uomo polemico e instancabile, ma quello dell’uomo ferito, che ha toccato l’abisso e ha deciso di risalire.
Come nella pittura, anche nella vita, la vera grandezza nasce dal contrasto tra ombra e luce.
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