Pierfranco Bruni
Il Natale di San Francesco d’Assisi è una Festa delle Feste. È per San Francesco il Risveglio di Cristo nel Cuore degli uomini perché Dio è profondamente tenerezza nella umiltà della Passione. Il Presepe assume un villaggio medievale in cui il dono non ha mai la sua materialità ma il vero senso della nascita del Cristo eucaristico.
Nelle Fonti Francescane ci sono verità indelebili: «Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano. Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini. Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca” (Vita di S. Francesco – Fonti Francescane 787).
Un favo di miele! Si racconta anche che: «Un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l’obbligo di non mangiare la carne, dato che il Natale quell’anno cadeva di venerdì. Francesco rispose a frate Morico: «Tu pecchi fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno” (dalla Vita di S. Francesco – Fonti francescane 787).
In epoca risorgimentale nelle Fonti si può sottolineare: «Francesco aveva maggior reverenza per il Natale che per le altre festività. Diceva: ‘Dopo che il Signore nacque per noi, cominciò la nostra salvezza’. Voleva perciò che quel giorno ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, che ci donò se stesso, tutti provvedessero largamente non solo ai poveri, ma anche agli animali e agli uccelli» (dalla Vita di S. Francesco – Fonti Francescane 1814).
Quattro sono i punti fondanti tra San Francesco e la nascite di Cristo che trovano il vento del villaggio del Presepe: la letizia la carità la riconciliazione il perdono. Un linguaggio oltre la teologia ma dentro la liturgia. Il tempo del Presepe è liturgia ontologica e carisma.
Celano nelle Fonti Francescane sigillava: «Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale ‘la festa delle feste’ – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con ‘ineffabile premura» (2 Celano, 199:Fonti Francescane, 787).
Disse bene Benedetto XVI quando affermò che Francesco: «incarnò in modo esemplare» la Beatitudine di Gesù. Francesco ha la spiritualità dell’esodo. Il suo legame ontologico con Antonio si svolge sulla visione di una terra che ci appartiene. È un camminamento dalla realtà all’esodo in cui il Risveglio è nella umiltà della Passione e nel Risveglio del Cristo nel Cuore. Il che vuol dire soprattutto Incarnarsi. Un viaggio evangelico dell’anima nell’anima.
Un dato di ontologia raffinato che lo pone mai in eresia e tanto meno in una posizione agnostica. Francesco è completamente libero dentro quella spiritualità che lo conduce verso il pellegrino che rende l’umanità il viaggio verso la salvezza il cui epicentro è la Cristocentricità. Il Divino e l’umano sono l’incarnazione dell’immagine di Cristo.
Il volto del Cristo in Croce è un modello marcatamente bizantino. È un volto sofferente che penetra l’abisso e l’estasi che non appartiene a nessuna allegoria. Perché Francesco non si interpreta perché é Miracolo. La relazione d’amore è anima donata oltre il naturalismo perché il naturalismo è l’opposto delle relazione esodale di Francesco.
Il Natale di Francesco è in questa definizione che lega la Festa della nascita, ovvero dell’avvento, con la Festa della Rivelazione.
