Pierfranco Bruni
Il viaggio di Francesco d’Assisi è un andare. È una lontananza che rientra sempre al centro. Chiaramente non con la Ragione ma con i sentieri del pellegrino che non ha lo scopo di raggiungere un luogo. Costruisce l’andare con un attraversamento il cui tempo dell’Avvento è un accanto per sempre.
In Francesco c’è la potente forza escatologica che supera lo spazio dell’abitare la casa. Il vero senso del tutto è l’identità del divino: il Crocefisso che parla. Il viaggio è un errare. Una erranza che come le erranze non ha porto. Non si giunge. Si va. Si cammina. Come la Parola!
San Francesco non abita la caverna. Abita quella spazialità visione del tempo invisibile indefinibile. Escatologico! Con lui si avverte l’esigenza della fede e la necessità di Cristo come ontologica espressione del cuore e come metafisica rivoluzione della coscienza.
È chiaro comunque che non c’è alcuna filosofia. Perché è sempre il mistero che occupa lo scenario di una rutualità incoscia della letizia e della ilarità. Senza gioia e grazia Francesco non farebbe il cammino verso l’andare. Non conduce a un luogo. Crea un luogo che non è soltanto sacro ma anche umano.
Francesco porta il mistero nell’uomo. È come se il Cristo nascente e il Cristo della croce si universo in un unico vivente cammino non verso l’Atteso ma verso il Sempre della Cristocentricità che è l’incarnazione. L’Incarnato. Non un desiderio. Mai un desiderio. Non un disperato senso dell’attesa o dell’Atteso. Ma una Creatura Onnipotente che permea il cammino. Camminare non è neppure cercare. È Pensiero attraente della Pazienza divina.
Bisogna entrare nel Divino per convivere con l’andare che ha manifestazioni paoline. Francesco non ha nulla di Pietro. Non ci sono con-divisioni. Questo «con» è problematico ma non c’è. Con Paolo c’è oltre tutto la conversione. Con – versione. O meglio con-vivere.
Paolo compie il suo viaggio con l’andare in Fede ma senza il ritorno e tanto meno l’approdo. Va! Francesco è il mistico oltre lo stesso Paolo. Il quale rinnova nella tradizione la chiesa. Francesco non crea la Chiesa. Invita propone ama. Ci raggiunge con la Grazia. Paolo è un filosofo che porta la filosofia nella teologia. Come farà Agostino con un attraversamento chiamato «confessione». Ovvero conferire con se stesso per mezzo della fede.
Francesco è il Cantico dei Cantici.
È poeta e mai filosofo perché è mistica la sua Figura. Mistico il suo cammino. In fondo non continua una tradizione. Crea la Tradizione. L’agorà non gli interessa. Il suo interesse fondamentale è la Preghiera e non la parola neppure una parola come «verbo». Il miracolo è un impeto del cuore.
Paolo e Agostino, da filosofi, si scontrano con la Ragione. Francesco è distante da tutto ciò che può essere discutere pensare meditare. È un Pensiero urlante con il silenzio. Ecco perché non ha bisogno di slegarsi dalle catene della caverna. Abbatte la caverna e trascende dai luoghi. È corpo certamente. Ma è Anima fondante.
Credo che qui sia il vero centro della misericordia non come atto o azione. Bensì come Luce che fende il bosco dove potrebbero abitare i lupi. E i lupi ci sono ma lui gli dà una voce tutta interiore. Spirituale. La spiritualità è appunto il volto dell’esodo. Con Francesco il Vangelo non si rappresenta non si vive non si interpreta.
Francesco è il Vangelo. O meglio è il Cristo. Non si cerca. Non si trova. È non solo il senso. È il Divino. È Esperienza. Non è la pietra sulla quale si edificherà il testamento della chiesa. Non è neppure la buona battaglia. Non è ancor di più la penitenza o la remissione dai peccati. Non gli riguardano i peccati È il «chiaro». Dentro il chiaro. È il tempo aurorale in cui la Luce è la permanenza dell’umiltà che supera ogni comandamento.
