La minaccia Covid sul voto referendario per gli Italiani all’Estero

 

 

La minaccia Covid sul voto referendario per gli Italiani all’Estero

Di Sandro FRATINI Delegato Estero Asia, Africa, Oceania e Antartide

Presidente Commissione Ricerca e Internazionalizzazione del Partito Democratico

Come già enfatizzato e degnamente pubblicizzato dai sistemi di comunicazione nazionali, il 20 e 21 settembre la comunità degli italiani residenti (o per altre necessità) all’Estero sarà chiamata ad esprimersi sul solo “referendum” sulla riduzione del numero dei parlamentari. L’attività, coordinata dai Consolati Generali e dalle sedi Diplomatiche nel mondo, andrà ad interessare circa un decimo della popolazione italiana. Stiamo parlando, infatti, di SEI MILIONI di persone che, nel bene o nel male e Covid19 permettendo, risulta essere il collegio elettorale numericamente più grande d’Italia!

Esistono, come è ovvio che sussistano, molteplici perplessità sulla natura e la validità stessa del referendum. Inutile ribadire che la legge, che prevede la diminuzione da 630 a 400 seggi alla Camera e da 315 a 200 seggi elettivi al Senato, sottoposta a Referendum sia nata male. È infatti noto che il referendum sia dovuto proprio alla “confusione” politica ingenerata in ambito parlamentare, in particolare al Senato, dove nelle varie votazioni avvenute nel 2019, non è mai stata raggiunta la maggioranza prevista dei due terzi dei Senatori. D’altra parte, è altrettanto noto che sin dagli anni ’70, con la nascita delle “Regioni” e del Parlamento Europeo, i partiti politici italiani (anche al loro stesso interno) si siano scontrati più volte sulla visione della necessità di riformare il sistema parlamentare e a nulla valsero le proposte del PDL (2012) e del PD di Renzi (2016).

Le preoccupazioni maggiori sono certamente per il “deficit di Rappresentatività” e quindi di “Democrazia” che si verrebbe a creare con la conferma della riduzione dei Parlamentari. In particolare, le maggiori deficienze si concreterebbero proprio per il Collegio Estero, con una diminuzione dei parlamentari che non trova riscontro in nessun altro collegio Regionale italiano. La nostra Democrazia vive ancora oggi sulla primazia parlamentare e una riduzione come quella palesata dalla legge cozza violentemente con il principio di “Rappresentatività”, insito nella nostra Costituzione. L’espressione popolare per un “NO” al referendum sarebbe quindi auspicabile: l’intera Nazione, infatti, potrebbe risparmiarsi l’umiliazione di un risultato referendario che sacralizzi la tendenza a rinunciare alla democrazia rappresentativa (tanto voluta a suo tempo dal M5S e dalla Lega). L’avvento dell’emergenza Covid che, nella sostanza, ha legittimato una certa forma di subordinazione di maggiore potere accentrato al Governo, ha ingenerato di fatto nuovi equilibri di potere che penalizzano il potere democratico. Un No al referendum, dunque, restituirebbe fiato alla democrazia!

Ma cosa succederebbe nel caso della vittoria di un “SI” al Referendum? Con ogni probabilità il Si al referendum, modificando la struttura del Parlamento, imporrebbe una serie di passaggi per la costruzione una nuova legge elettorale e delle nuove circoscrizioni.

Una “Riforma Costituzionale” che, la nostra storia politica ce lo insegna, non può essere portata avanti in soli sei mesi; cioè il tempo che manca all’inizio del “semestre Bianco” che il Presidente Mattarella dovrà imporre a causa delle previste prossime elezioni politiche. Nella pratica, esiste, dunque, in questo caso l’eventualità (aggravata dalla potenziale continuazione dell’Emergenza Covid19) di una maggiore contrapposizione politica e la presenza di forze disgregatrici nell’ambito della attuale maggioranza di governo.

Uno sguardo a quanto sta accadendo nel mondo, però, richiama a una più concreta realtà che impone una riflessione profonda sulla legittimità dell’azione referendaria. In Italia esistono dubbi sulla reale possibilità di aprire l’anno scolastico nei tempi previsti e viene automatico mettere in dubbio anche la validità della scelta sui due giorni, 20 e 21 settembre, fatta per assicurare minori possibilità di “assembramento”, a causa del perdurare del propagarsi dell’azione del virus. A guardare la sola Europa: per Spagna, Francia, Croazia, Serbia e in minor misura Paesi del Nord e il Portogallo, è facile ipotizzare che per quella data (anzi i primi di settembre, a causa dell’invio via “posta” delle schede elettorali) le sedi diplomatiche e le nazioni che le ospitano non saranno affatto pronte all’azione prevista per assicurare il voto al Collegio Estero. Inoltre, è di questi giorni la notizia che continuano a crescere in maniera esponenziale i contagi nelle Americhe, negli Usa e in America Latina, così come in Africa sia previsto un riacutizzarsi dell’espansione del virus. la rete consolare italiana dovrà dunque tener presente gli effetti devastanti che potrebbero verificarsi ai fini del Referendum. Sin d’ora sono già state chiuse una ventina di sedi diplomatiche e consolari (tra cui New York e Buenos Aires!), perché al loro interno si sono verificati casi di contagio.

Non sarebbe, a questo punto opportuna una giusta “riflessione”, interna in particolare per le forze di maggioranza, per dichiarare, enucleando completamente il Referendum dalle altre votazioni previste, la non idoneità “sanitaria” del periodo scelto? Rimandando di conseguenza, oltre che la data (tra un anno?) a migliori condizioni umane e sociali, a una seria analisi di una proposta di legge (chiamando dentro anche le opposizioni) per portare al voto il popolo italiano con una legge elettorale che vada al di là dei singoli interessi di partito?

Tutte l’opinioni versati nel sito, correspondono solo a chi la manifesta. Non e necessariamente l’opinione della Direzione.

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