Altro che festa: il Primo Maggio è una vergogna nazionale finché si continua a morire di lavoro”

Carlo Di Stanislao

«Lavorare per vivere, non morire lavorando.» — Karl Marx

Altro che concertoni, bandiere rosse, selfie tra sindacalisti e politici “vicini al popolo”. Il Primo Maggio in Italia è diventato una celebrazione grottesca e ipocrita, una messinscena che insulta la memoria delle centinaia di lavoratori che ogni anno escono di casa per non tornarci più. Non c’è nulla da festeggiare finché in questo Paese si continua a morire di lavoro. E il fatto che tutto questo venga ormai accettato come una normale fatalità è la più grande vergogna nazionale.

Nel 2024, secondo i dati dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering, 1.090 persone sono morte per cause legate al lavoro. Di queste, 805 sul posto di lavoro e 285 durante il tragitto. Si tratta di una vera e propria strage, una carneficina continua e silenziosa. Eppure, le reazioni sono sempre le stesse: qualche frase fatta, lacrime di circostanza, impegni a parole, e poi nulla. Tutto torna a scorrere come prima. Anzi, peggio.

La Lombardia guida la classifica dei decessi con 131 vittime, seguita da Campania (84), Lazio (73), Emilia-Romagna (71) e Sicilia (65). I settori più pericolosi? Le Costruzioni (156 morti), i Trasporti e Magazzinaggio (111), le Attività Manifatturiere (101), e il Commercio (58). Non stiamo parlando solo di numeri, ma di vite spezzate, famiglie distrutte, madri, padri, figli che ogni anno vengono condannati alla sofferenza perché lo Stato e le imprese non fanno il minimo indispensabile per prevenire.

E non basta invocare “nuove leggi”: in Italia le norme sulla sicurezza ci sono, e non sono neanche male. Il problema è che non vengono applicate. I controlli sono scarsi, gli ispettori troppo pochi, le sanzioni troppo leggere. Siamo nel 2025 e l’Italia ha ancora meno di 4.000 ispettori del lavoro per sorvegliare milioni di aziende. È una barzelletta, anzi una truffa ai danni dei lavoratori. I processi per infortunio o omicidio sul lavoro durano anni, spesso si chiudono con prescrizioni, patteggiamenti, o pene ridicole. E intanto le imprese responsabili continuano a ottenere appalti pubblici, a lucrare sulla pelle dei dipendenti, a risparmiare sulla sicurezza come fosse un costo superfluo.

E poi ci sono i subappalti, la vera piaga del sistema. Frammentano le responsabilità, rendono impossibile individuare i colpevoli, creano una giungla dove il più debole – spesso immigrato, sottopagato, senza formazione – è esposto al massimo rischio. L’abolizione del “divieto di subappalto a cascata” non è stata solo una follia legislativa, è stata una condanna a morte per migliaia di lavoratori.

Il confronto con l’Europa è impietoso. In Germania, i morti sul lavoro sono poco più della metà rispetto all’Italia, a fronte di una popolazione maggiore e una base industriale enorme. In Francia, ci sono quasi il doppio degli ispettori. In Svezia, ogni incidente sul lavoro innesca indagini serie, e le sanzioni arrivano subito. Da noi? Silenzio, rinvii, prescrizioni. In compenso, ogni 1° maggio si canta in piazza, si fa finta di onorare il “lavoro”. Una presa in giro.

Serve una rivoluzione culturale e politica.
Serve aumentare drasticamente il numero di ispettori, raddoppiare – anzi triplicare – le ispezioni, dotare gli organi di vigilanza di strumenti efficaci e autonomi.
Serve bloccare i subappalti selvaggi, inserire vincoli rigidi nei bandi pubblici, e obbligare tutte le imprese a investire in formazione, dispositivi di protezione, sistemi di prevenzione.
Serve infine una giustizia veloce e implacabile: chi risparmia sulla sicurezza deve risponderne penalmente, anche con il carcere.

Fino a quel giorno, ogni Primo Maggio non è festa, ma lutto. È rabbia. È lotta.
E chi osa ancora dire “buon Primo Maggio” mentre si continua a morire di lavoro, è complice di questo vergognoso, ignobile disastro. 

Tutte l’opinioni versati nel sito correspondono solo a chi la manifesta. Non e necessariamente l’opinione della Direzione

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