Paola Cecchini



“Ci sono opere la cui trama si può raccontare in due parole (Iago convince Otello che sua
moglie è infedele e Otello la uccide) e altre per cui non basterebbe una serata intera davanti
al camino. Ma sappiamo che il successo o l’insuccesso non ha nulla a che vedere con
l’intreccio. Ne è prova Zelmira, ultima opera scritta da Rossini per Napoli e perla della sua
tournée trionfale a Vienna (1822), con cui soverchiò tutti i musicisti di lingua tedesca presenti
e passati (tra cui, tanto per fare i nomi, Weber, Mozart, Beethoven, Schubert: scusate se è
poco!) e facendo sussultare d’entusiasmo un certo Hegel…”.
Così il compositore e musicologo Daniele Carnini scriveva nell’aprile scorso su
www.rossinioperafestival.it, il sito del Festival internazionale che mette esclusivamente in
scena il patrimonio musicale legato al nome del Compositore pesarese (direzione artistica
di Ernesto Palacio), presentando ZELMIRA (musicata dal Musicista su libretto di Andrea
Leone Tottola).
L’ opera ha inaugurato la 46a rassegna musicale (la prima dopo la scomparsa di Gianfranco
Mariotti che del Festival fu ideatore e fondatore) presso l’Auditorium Scavolini, nella messa
in scena del regista spagnolo Calixto Bieito che ha debuttato al Festival e ne ha curato
anche le scene con Barbora Horáková (i costumi sono di Ingo Krügler e le luci di Michael
Bauer).
Sul podio Giacomo Sagripanti dirige l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna (che torna
al ROF dopo diversi anni) e il Coro del Teatro ‘Ventidio Basso’ di Ascoli Piceno (l’edizione
critica è stata curata per la Fondazione Rossini da Helen M. Greenwald e Kathleen Kuzmick
Hansell).
Nella compagnia di canto figurano Anastasia Bartoli nel ruolo del titolo, Lawrence Brownlee
(Ilo), Enea Scala (Antenore), Marina Viotti (Emma), Marko Mimica (Polidoro), Gianluca
Margheri (Leucippo), Paolo Nevi (Eacide) e Shi Xong (Gran Sacerdote).
Le repliche : 13, 16 e 19 agosto.
“Gli avvenimenti raccontati in Zelmira – proseguiva Carnini– sono oscuri tanto da rendere
necessario un lungo antefatto. È un po’ come ‘Il Trovatore’, ma al pari del Trovatore l’oscurità della trama non va a scapito della grandezza dell’opera”.
Ricordo a me stessa che Zelmira vive una situazione a dir poco terrificante: è ingiustamente
accusata di essere l’omicida del padre Polidoro (re di Lesbo, nell’Egeo nordorientale, di fronte alle coste della penisola anatolica), dell’usurpatore al regno Azor (l’opera inizia con il suo cadavere in scena) e potenzialmente anche del marito Ilo (principe troiano che ha dovuto sposare per volontà del padre).
Passa il tempo a discolparsi cercando di non mettere a repentaglio la vita di coloro che ama.
Stiamo parlando dell’ultima opera della stagione napoletana di Rossini (mentre Semiramide
coinciderà con l’addio ai teatri italiani), rappresentata con successo per la prima volta al
Teatro San Carlo di Napoli il 16 febbraio 1822, un anno dopo Matilde di Shabran.
Il Compositore aveva davanti a sè un cast straordinario: due tenori di prim’ordine, la primadonna per eccellenza, Isabella Colbran (che diventerà sua moglie il mese successivo a Castenaso, vicino Bologna) e diversi ottimi cantanti.
Eccezionalmente lo stesso cast lo seguì a Vienna dove l’opera venne rappresentata (con aggiunte del librettista comasco Giuseppe Carpani) due mesi dopo (13 aprile 1822) presso il Teatro di Porta Carinzia.
Tramite Zelmira, Rossini diventerà il musicista più famoso d’Europa: l’anno dopo si andò in scena al Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona (13 maggio 1823), il 24 gennaio 1824 al His Majesty’s Theatre di Londra, il 14 marzo 1826 al Théâtre Italien di Parigi dove il Compositore scrisse un finale diverso per il famoso soprano Giuditta Pasta.
L’eco dell’opera fu immensa nonostante le critiche (velate e non) nei confronti del testo, ritenuto debole, monotono, infelice, privo di qualsiasi intreccio amoroso (effettivamente l’amore narrato è paterno o filiale, quello tra uomo e donna è soltanto sfiorato nelle lamentele di Ilo che soffre per i suoi sentimenti non corrisposti).
Dall’oblio che ne segui, Zelmira fu indubbiamente rivalutata dalla cosiddetta Rossini Renaissance (ultimo trentennio del Novecento), consolidata dal Rossini Opera Festival che l’ha riportata sulle scene nel 1995 diretta da Roger Norrington (Mariella Devia nel ruolo del titolo) e nel 2009 diretta da Roberto Abbado con Juan Diego Florez e Kate Aldrich.
Ma torniamo a noi, ai nostri giorni.
“Chi verrà a Pesaro godrà di un’esperienza indimenticabile: mai Rossini è stato fino in
fondo così tanto Rossini”- concludeva Carnini col suo stile intrigante.
Tutto ciò premesso, che ne pensa il pubblico? E’ presto per dirlo.
Personalmente divento piccola piccola nella mia poltrona, ogniqualvolta mi trovo di fronte
ad opere strumentalmente e vocalmente così complesse e così difficili da realizzare. Ne
sono un po’ intimidita.
L’impianto scenico colpisce subito (impossibile dire il contrario): si tratta di una pedana centrale
di 350 metri quadrati (grande come un campo di basket e alta un metro e venti centimetri) che ospita orchestra e cantanti, permettendo ad ogni spettatore una visione a 360 gradi.
Come ci aveva preannunciato il regista (ospite all’incontro con il pubblico del 10 agosto scorso) ‘l’esperienza sonora e visiva è diversa per ciascuno di noi, a seconda di dove siamo seduti. L’orchestra diventa una voce interiore. Il suono è parte della scenografia, non descrive, emana. Le voci e l’orchestra diventano memoria, paura, battito cardiaco’.
In effetti, penso che sia proprio così.
Ho letto e sentito in teatro alcune critiche in merito. Nonostante preferisca una messa in scena più tradizionale, è facile riconoscere che la regia è innovativa e originale,
A me lo spettacolo è piaciuto e ho apprezzato, in particolare, l’immagine della protagonista: una donna autentica di ieri e di oggi, onesta e sincera, una donna che resiste ad oltranza, che sostiene fino in fondo la propria integrità, la propria coscienza, anche quando nessuno vuole ascoltarla (per gran parte del tempo, più o meno).
Chapeau a tutto il cast (in primis Anastasia Bartoli che torna al Rof per la terza volta, nella veste di protagonista assoluta) ed al suo direttore.