Il pasticiaccio dello sbarramento a Medicina: il semestre-trappola e un governo allo sbando

Carlo Di Stanislao

«In Italia le riforme non si fanno: si annunciano, poi si aggrovigliano.»
— Carlo Emilio Gadda

Il pasticiaccio dello sbarramento a Medicina oggi ha un nome elegante e ipocrita: semestre filtro. Un’espressione anodina per mascherare ciò che è in realtà un vecchio numero chiuso travestito da modernità, spostato in avanti di sei mesi e reso più crudele, più costoso, più diseguale. Il governo lo ha venduto come la fine dei test, come una rivoluzione meritocratica. Nei fatti è l’ennesima scorciatoia all’italiana: cambiare tutto per non cambiare niente, salvo peggiorare l’esperienza di chi studia.

Il test a crocette era odiato, certo. Ma almeno era chiaro: un giorno, una prova, un esito. Oggi no. Oggi si entra tutti, si promette un accesso “libero” e poi si cala la ghigliottina a semestre inoltrato, quando lo studente ha già investito mesi di studio, tasse universitarie, affitti, aspettative familiari. Non sei escluso all’ingresso: sei consumato lungo il percorso. È una selezione per logoramento, non per talento.

Il governo parla di merito, ma evita accuratamente di dire che i posti restano limitati. La verità è semplice e scomoda: i numeri non tornano. Migliaia di iscritti, poche migliaia di posti reali. Il semestre filtro diventa così una gigantesca aula di smistamento umano, dove si fa competere una massa enorme di studenti per una manciata di possibilità, senza che il sistema universitario sia strutturalmente in grado di reggere l’urto.

Le università sono state lasciate sole. Aule sovraffollate, docenti costretti a trasformare corsi introduttivi in prove selettive, esami caricati di un peso che non dovrebbero avere. Non si insegna per formare futuri medici, si insegna per far fuori. Il primo semestre non è didattica: è una prova di sopravvivenza. Chi cade, pazienza. Il sistema va avanti.

E qui sta il vero scandalo. Perché mentre si fa la morale sul merito, si finge di non vedere che questo modello premia chi può permettersi di studiare a tempo pieno, chi può pagare tutor, ripetizioni, corsi privati. Chi lavora, chi viene da contesti fragili, chi non ha reti di sostegno parte già sconfitto. Altro che equità: il semestre filtro è un moltiplicatore di disuguaglianze, un imbuto sociale travestito da riforma progressista.

Il governo, intanto, balbetta. Prima abolisce il test, poi rassicura sul rigore. Prima parla di apertura, poi mantiene lo sbarramento. Prima annuncia decreti, poi li rinvia. È una politica fatta di slogan e aggiustamenti tardivi, incapace di assumersi una responsabilità chiara: o si investe davvero per aumentare i posti e la qualità della formazione, oppure si ammette che il numero chiuso resta e lo si difende apertamente. Questa zona grigia è solo una fuga dalla verità.

Il paradosso è grottesco: tutto questo avviene mentre mancano medici ovunque. Ospedali in affanno, medici di base irreperibili, pronto soccorso al collasso. Da anni si denuncia una programmazione fallimentare, e la risposta qual è? Spostare lo sbarramento di sei mesi e chiamarlo riforma. Come se il problema fosse il quiz e non l’assenza di una visione industriale della sanità e della formazione.

E poi c’è l’aspetto psicologico, che nessuno vuole affrontare. Migliaia di ragazzi vivono mesi di pressione costante, sapendo che un esame può cancellare un sogno coltivato per anni. Non c’è orientamento, non c’è accompagnamento: c’è solo la graduatoria finale. Il messaggio implicito è brutale: provaci pure, ma sappi che la maggioranza servirà solo a fare numero, a riempire l’imbuto.

Questo non è coraggio politico. È scaricare il costo sociale della selezione sugli studenti, salvando la faccia a Palazzo Chigi e lasciando che siano università e famiglie a pagare il prezzo del caos. Il semestre filtro non è una riforma: è un alibi. Serve a dire “abbiamo abolito il numero chiuso” senza affrontare le conseguenze di una vera apertura.

Il pasticiaccio dello sbarramento a Medicina, oggi, racconta un governo che non sa scegliere e non vuole pagare il prezzo delle scelte. Racconta un Paese che continua a usare i giovani come materiale di scarto statistico, sacrificabile in nome dell’equilibrio dei conti e della paura di investire. E racconta, soprattutto, una verità che nessuno osa dire: non manca il merito, manca il coraggio.

Tutte l’opinioni versati nel sito correspondono solo a chi la manifesta. Non e necessariamente l’opinione della Direzione

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