MADRE FRANCESCA CABRINI, L’ANGELO DEI MIGRANTI – Due mostre dell’artista Meo Carbone sulla Santa degli emigrati, a Codogno e Sant’Angelo Lodigiano

 

 

10 novembre 2021

MADRE FRANCESCA CABRINI, L’ANGELO DEI MIGRANTI

Due mostre dell’artista Meo Carbone sulla Santa degli emigrati, a Codogno (13 novembre – 20 dicembre 2021) e Sant’Angelo Lodigiano (21 dicembre 2021 – 16 gennaio 2022)

di Goffredo Palmerini

Continua l’infaticabile opera dell’artista Meo Carbone nel raccontare da par suo l’Emigrazione italiana con la pittura e la scultura. Questo ulteriore e prezioso suo contributo lo esprime alla grande, con la Mostra “Madre Cabrini, l’Angelo dei migranti”, dedicata a Madre Francesca Saverio Cabrini, che aprirà a Codogno presso il Museo cabriniano il 13 novembre e fino al 20 dicembre 2021, poi a Sant’Angelo Lodigiano, dove la religiosa era nata il 15 luglio 1850, dal 21 dicembre prossimo fino al 16 gennaio 2022. Sarà una tappa importante nel significativo percorso che l’Artista da oltre 30 anni porta avanti sul tema delle migrazioni e, con questa esposizione, l’approfondimento sulla straordinaria opera di Santa Francesca Cabrini, dopo le precedenti mostre a lei dedicate del 2016 e 2017, allestite a Roma, Genova, Milano e Chicago. Gli eventi, organizzati dalla Fondazione The Dream, hanno il patrocinio della Fondazione Migrantes e dell’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, la congregazione fondata da Madre Cabrini.

Molto curato il catalogo realizzato dalla Fondazione The Dream. Il catalogo reca contributi, in italiano e inglese, del critico d’arte Claudio Crescentini, di sister Barbara Staley, Superiora Generale delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, di Mons. Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes e arcivescovo di Ferrara, di Lina Lo Giudice Sergi, sociologa e psicologa sociale, di Fabio Capocaccia, presidente del CISEI di Genova, infine il contributo di chi scrive. L’esposizione, non appena l’evoluzione della pandemia lo consentirà, potrà essere allestita negli Stati Uniti, a cominciare da New York.

L’arte è un medium di straordinario richiamo per avvicinare le persone al tema delle migrazioni e dell’emigrazione italiana in particolare, la più grande diaspora della storia dell’umanità, se si considera che in un secolo o poco più, tra Ottocento e Novecento, quasi 30 milioni d’italiani lasciarono il Paese per le terre d’oltreoceano. Quello di Meo Carbone, pertanto, è un progetto e un percorso artistico assai commendevole, se si pensa che quel processo di rimozione della memoria, presente il larga parte della classe dirigente, confina la storia dell’emigrazione ai margini della nostra storia nazionale. Un fenomeno negletto, eppure così cospicuo per il Paese se considerando i discendenti delle varie ondate migratorie ha generato 80 milioni di oriundi nel mondo, dunque un’altra Italia ben più grande di quella dentro i confini.

Oggi di questa storia si conosce – ma neanche poi tanto approfonditamente – la parte gloriosa: i successi e il prestigio che gli italiani delle generazioni successive alla prima emigrazione hanno conquistato in tutti i campi nel corso di questa vera e propria epopea. Molto meno si conosce la parte dolorosa. L’esercito di braccia che partì dall’Italia verso le terre d’emigrazione, infatti, si trovò a dover affrontare inimmaginabili e drammatiche vicende umane, a lottare ogni giorno contro sospetti e pregiudizi, a subire spesso angherie d’ogni sorta, a doversi confrontare in competizioni durissime con sistemi sociali sconosciuti e condizioni di lavoro altrettanto precarie.

Da qualche anno, finalmente, studiosi e scrittori stanno illuminando con i loro lavori la Grande Emigrazione italiana, favorendo efficacemente la conoscenza del fenomeno migratorio verso lettori e opinione pubblica. Sono testi che segnalano a costo di quali enormi sacrifici i nostri emigrati abbiano conseguito conquiste civili, economiche e sociali nei paesi d’emigrazione. Di quali terribili pregiudizi essi siano stati vittime, andati a lavorare in Louisiana, in Arkansas, in Mississippi o in Alabama, a sostituire nelle piantagioni di cotone e canna da zucchero gli schiavi neri liberati, fino a dover subire veri e propri linciaggi, come accadde a New Orleans nel 1891, ma anche come era accaduto in Francia, a Marsiglia e ad Aigues Mortes. Terribili condizioni di lavoro patite e tragedie subite, nelle miniere di carbone del West Virginia (Monongah ma non solo), e disumani stigmi sofferti nelle grandi città degli Stati americani affacciati sulla costa atlantica.

Pagine dolorose della nostra emigrazione, che vanno assolutamente conosciute. Lungo, difficile e impegnativo è stato infatti il percorso dei nostri emigrati per affrancarsi dal pregiudizio e conquistare considerazione e stima, per affermarsi in ogni settore di attività nei Paesi d’accoglienza, al cui sviluppo hanno fortemente contribuito. Nondimeno essi hanno conquistato sul campo, in condizioni assai difficili, ragguardevoli risultati grazie alla loro laboriosità, all’ingegno e all’intraprendenza creativa, come pure alla correttezza dei loro comportamenti – nella stragrande maggioranza dei casi – tanto da guadagnarsi il rispetto grazie a testimonianze di vita esemplari.

Nella storia della nostra emigrazione hanno un ruolo rilevante le opere promosse da uomini e donne di Chiesa, come Mons. Scalabrini e Mons. Bonomelli e come appunto Madre Francesca Cabrini, diventata la prima Santa degli Stati Uniti. Ultima di undici figli di Agostino e Stella Cabrini, maestra elementare, maturò la vocazione religiosa e nel 1880 fondò la congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore. Avrebbe voluto andare in Cina, ma Leone XIII la mandò negli Stati Uniti per l’assistenza agli emigrati italiani. Donna ed evangelizzatrice straordinaria, dalla costa atlantica penetrò anche all’interno del continente nordamericano e poi scese anche in America Latina, fondando un’ottantina di istituti, scuole, orfanotrofi, ospedali. Grande la sua opera negli Stati Uniti (New York, Chicago, New Orleans e in altre città) dove nel 1909 diventò cittadina americana. Dovunque potesse arrivare arrivò la sua opera di assistenza agli emigrati e alle loro famiglie, ai poveri e agli ultimi. Basta conoscere la vita di Madre Francesca Cabrini per amarla per sempre.

Lavorò tutta la vita, fece innumerevoli viaggi, per favorire l’inserimento degli emigrati nella società americana, facendone dei buoni cittadini. Ma nel contempo rafforzando in loro l’identità italiana e la fede cattolica. Madre Francesca era transitata alla vita eterna il 22 dicembre 1917, a Chicago. Fu dichiarata santa da Pio XII il 7 luglio 1946 e nel 1950 proclamata “Patrona di tutti gli Emigranti”. Per gli emigrati italoamericani è semplicemente “la loro Santa”: la sua opera geniale e coraggiosa la fece stimare anche in ambienti anticlericali e non benevoli verso gli italiani, eppure enorme fu il suo contributo nel far cambiare idea sui nostri connazionali emigrati. Nelle diocesi di Milano e Lodi santa Francesca Cabrini viene ricordata canonicamente il 13 novembre, che è appunto la data inaugurale della Mostra a lei dedicata.

Cosicché il viaggio pittorico di Meo Carbone sul tema delle migrazioni, dopo i condizionamenti e le limitazioni della pandemia, non poteva che riprendere “alla grande” – si diceva – con “Madre Francesca, l’Angelo dei migranti”. La sensibilità culturale, la convivenza spiccata di Meo Carbone con le tematiche migratorie, la profonda conoscenza che egli ha del fenomeno anche per essere stato per diversi anni un emigrato negli Stati Uniti, propongono un forte approfondimento “per non dimenticare” con queste due esposizioni, in continuità, nei luoghi così fortemente simbolici: Codogno, dove Madre Francesca fondò la sua Congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore e Sant’Angelo Lodigiano dove ella ebbe i natali. Meo Carbone lo fa con i colori netti, decisi, suggestivi delle sue opere, attraverso i quali la storia di vita di Madre Francesca traspare tra profili di emigrati. Non spetta a me una valutazione critica sull’arte di Meo Carbone, che esula dalle mie competenze. Eppure la sua produzione è fortemente evocativa, lo è stata sempre in tutti i campi tematici nei quali si egli è cimentato nel corso della sua feconda biografia d’artista, con prestigiose esposizioni in Italia e all’estero.

In fondo il percorso dell’Artista sul tema è partito in anni lontani. Meo Carbone ha dedicato al fenomeno migratorio italiano importanti mostre che hanno girato l’Italia, il nord America in lungo e largo ed altre destinazioni. Già un quarto di secolo fa egli dedicava all’emigrazione italiana negli Stati Uniti la mostra “The Dream”, seguita da “Partono i bastimenti”, quindi il rilevante progetto espositivo approntato nel 2017, centenario della morte di santa Francesca Cabrini, patrona degli emigranti. E’ stato questo uno dei temi dominanti della sua ricerca artistica, forse il maggiore, cui l’Artista ha applicato una rilevante diligenza d’introspezione del fenomeno migratorio, con numerose esposizioni negli Stati Uniti, con eventi culturali associati, con la produzione del video-documentario “The Dream… per non dimenticare” e del volume “Francesca e i migranti. Ieri Oggi Domani”. Non mancherà di farlo ulteriormente con questa Mostra, alla quale auguro non solo ogni buona fortuna, ma soprattutto una cornucopia di stimoli culturali, capaci di accendere nuova luce per la conoscenza e l’approfondimento della Storia dell’emigrazione italiana.

Nel suo contributo in catalogo così scrive Sister Barbara Staley, MSC: “Il 30 giugno 1889, soltanto due mesi dopo l’arrivo in America di madre Cabrini con altre sei missionarie, il New York Sun scriveva: «In queste ultime settimane, alcune donne, vestite come suore di carità, vanno percorrendo i quartieri italiani del Bend e della Little Italy, arrampicandosi per erte e strette scalinate, scendendo in sporchi scantinati e in certi antri in cui nemmeno i poliziotti di New York osano entrare da soli». Iniziò così la missione di Francesca Saverio Cabrini, la prima Santa d’America: la sua figura si colloca tra le maggiori del nostro tempo, accanto a quelle di coraggiosi pionieri ed esploratori che vissero e operarono tra il Vecchio e il Nuovo Mondo a cavallo tra i secoli diciannovesimo e ventesimo. Erano gli anni in cui i nostri compatrioti partivano in massa a bordo dei transatlantici per cercare fortuna in America, diseredati e disposti a tutto e molti di loro cadevano nelle mani della criminalità organizzata. Anche i più onesti erano considerati esseri inferiori, » barbari», «schiavi bianchi». Come schiavi dovevano adattarsi ai lavori più umili e pericolosi e accettare di vivere in situazioni di estremo degrado fisico, igienico e morale. Nel 1879, un colono veneto affidò a un parlamentare italiano questo messaggio: «siamo qui come bestie, viviamo e moriamo senza preti, senza maestri, senza medici». La situazione nella quale Madre Cabrini trovò gli Italiani in America era spaventosa, mentre i politici del tempo chiudevano gli occhi…… Allora erano gli italiani a migrare, oggi sono siriani, africani, asiatici…La figura di Madre Cabrini angelo dei migranti è ancora attuale.”

[…] L’Italia, Paese di emigrazione e immigrazione – scrive tra l’altro Mons. Giancarlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes -, Paese di sbarchi e di partenze, Paese di accoglienze e di pregiudizi. Le migrazioni sono un ‘segno di contraddizione’ del nostro tempo e contemporaneamente un ‘segno dei tempi’: un luogo concreto dove si sperimenta la fatica dell’incontro e, al tempo stesso, un luogo dove si costruisce l’incontro. La Mostra del pittore Meo Carbone, non nuovo a rappresentazioni artistiche del mondo dei migranti, ci aiuta a leggere le migrazioni attraverso le storie e i volti soprattutto di chi, come Madre Cabrini angelo dei migranti, ha saputo raccontare il mondo delle migrazioni ‘con gli occhi della fede’: come un luogo provvidenziale per ripensare la vita e il mondo.”

Non solo un’esposizione quella dell’artista Meo Carbone che apre sabato prossimo 13 novembre a Codogno, poi a Sant’Angelo Lodigiano e successivamente negli Stati Uniti, ma una straordinaria occasione di riflessione sul tema delle migrazioni, vecchie e nuove. In fondo, da quando l’uomo è comparso sulla Terra, la storia dell’umanità racconta una sequela infinita di migrazioni, con tutte le implicazioni che esse hanno comportato. Le attuali società evolute dovrebbero essere culturalmente attrezzate alla conoscenza dei fenomeni migratori e alle modalità più adeguate per affrontare e gestire le moderne migrazioni, in termini di regolazione dei flussi, accoglienza e integrazione: così purtroppo non è, almeno non ancora. Questo evento artistico e culturale è dunque un formidabile stimolo a conoscere e a riflettere sulle tematiche migratorie, questione che ha interessato da sempre l’umanità. Solo conoscendola a fondo si scopre come la civiltà è cresciuta in stretta simbiosi con le migrazioni umane.

 

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