L’urlo silenzioso: infibulazione e mutilazione genitale femminile tra cultura, violenza e diritti negati

Carlo Di Stanislao

“La tradizione non è la custodia delle ceneri, ma il culto del fuoco.”
— Gustav Mahler

Tra le pratiche più dolorose e meno comprese al mondo, la mutilazione genitale femminile (MGF) rappresenta una ferita profonda nei corpi e nelle vite di milioni di donne e bambine. Nonostante le dichiarazioni internazionali, le campagne di sensibilizzazione e le condanne pubbliche, ogni anno questa violenza viene perpetrata in silenzio, spesso con il consenso delle stesse comunità che la subiscono. La sua forma più estrema, l’infibulazione, comporta la rimozione e la cucitura degli organi genitali esterni, lasciando solo un minuscolo passaggio per l’urina e le mestruazioni.

In questo articolo si esplora che cos’è la mutilazione genitale femminile, dove e perché viene ancora praticata, quali sono le sue origini storiche e culturali, le conseguenze fisiche e psicologiche, e come affrontare concretamente il problema a livello globale e locale.

Che cos’è la mutilazione genitale femminile

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la mutilazione genitale femminile comprende “tutte le procedure che comportano la rimozione parziale o totale degli organi genitali esterni femminili, o altre lesioni agli organi genitali femminili per motivi non medici”.

La MGF viene praticata su bambine tra l’infanzia e l’adolescenza, ma in alcuni casi anche su neonate o donne adulte, a seconda del contesto culturale o geografico. Le principali forme sono la clitoridectomia, l’escissione, l’infibulazione e pratiche minori come la cauterizzazione o il piercing rituale. L’infibulazione, la più cruenta, può richiedere anche riaperture chirurgiche per permettere i rapporti sessuali o il parto.

Dove viene praticata

La mutilazione genitale femminile è diffusa in circa trenta paesi, principalmente in Africa sub-sahariana, in alcune aree del Medio Oriente e del sud-est asiatico. Tuttavia, la migrazione ha portato la pratica anche in Europa, Nord America e Oceania, all’interno delle comunità diasporiche.

Tra i paesi con i tassi più elevati si trovano Somalia, Sudan, Etiopia, Eritrea, Mali, Guinea e Djibouti. In Europa, i casi si registrano soprattutto tra le comunità provenienti da queste regioni, nonostante le leggi che ne vietano esplicitamente la pratica.

Perché si pratica

Le motivazioni che sostengono la MGF sono complesse, profondamente intrecciate con la cultura, la religione, la tradizione e la pressione sociale.

Tra le più comuni vi sono il controllo della sessualità femminile, la garanzia della verginità prematrimoniale, il mantenimento dell’onore familiare e l’adeguamento a modelli sociali di purezza. In molte culture, una donna non mutilata è considerata “impura”, inadatta al matrimonio o addirittura una vergogna per la famiglia.

Sebbene nessuna religione prescriva la mutilazione, alcune interpretazioni tradizionaliste la legano a precetti religiosi distorti, alimentando l’errata convinzione che si tratti di un obbligo morale o spirituale.

Origini storiche

Le prime testimonianze di mutilazioni genitali femminili risalgono all’antico Egitto, dove venivano praticate come rituale di purezza e controllo sessuale. Scrittori greci e romani menzionano simili pratiche tra le popolazioni dell’Africa nord-orientale.

Con il passare dei secoli, la mutilazione si è radicata in molte società africane e medio-orientali, sopravvivendo anche alla colonizzazione e ai cambiamenti religiosi. In alcuni contesti, la colonizzazione europea ha tollerato o addirittura rafforzato certe tradizioni locali pur di mantenere l’ordine sociale.

Conseguenze fisiche e psicologiche

La MGF causa danni fisici permanenti e conseguenze psicologiche profonde. Le complicazioni immediate includono emorragie, dolore acuto, infezioni, difficoltà a urinare, e nei casi più gravi, la morte.

Nel lungo termine, le donne possono soffrire di dolore cronico, infertilità, cisti, fistole, difficoltà sessuali e complicazioni durante il parto. Sul piano psicologico, molte sviluppano depressione, disturbi d’ansia, stress post-traumatico e disturbi dell’identità corporea.

La violenza subita, spesso in giovane età, lascia segni non solo nel corpo, ma anche nell’autostima, nella capacità di fidarsi e di vivere la propria sessualità in modo sano e consapevole.

Come affrontare il problema: azioni concrete e strategie a più livelli

Sradicare la mutilazione genitale femminile è possibile, ma richiede un cambiamento culturale profondo accompagnato da strumenti legali, educativi e sanitari.

L’educazione è il primo passo. Bisogna lavorare con le comunità, coinvolgere famiglie, donne adulte, anziane e soprattutto i giovani. La sensibilizzazione deve essere fatta in modo rispettoso, con mediatori culturali che conoscano le lingue e le dinamiche locali. Ex praticanti che scelgono di abbandonare la mutilazione sono spesso le voci più ascoltate e rispettate.

Gli uomini e i leader religiosi devono essere parte attiva del cambiamento. Solo così si può spezzare il legame tra maschilismo, controllo e tradizione. In molti paesi, imam e capi comunitari hanno dichiarato pubblicamente che la MGF non è un precetto religioso, contribuendo a delegittimare la pratica.

Le leggi sono fondamentali, ma non bastano. Servono norme chiare, applicabili e accompagnate da alternative simboliche. In Kenya e Senegal, ad esempio, sono stati creati riti di passaggio alternativi che celebrano l’ingresso all’età adulta senza violenza.

Le sopravvissute devono avere accesso a cure mediche gratuite e supporto psicologico. L’ascolto, la non colpevolizzazione e l’empatia sono strumenti essenziali. In Europa, alcuni ospedali offrono oggi interventi di ricostruzione genitale e terapia post-traumatica.

A livello internazionale, è necessario coordinare gli sforzi tra paesi d’origine e paesi di accoglienza. Le mutilazioni effettuate durante le “vacanze” nei paesi di origine devono essere perseguite con strumenti legali efficaci, mentre le ambasciate e i servizi sociali devono monitorare attivamente i rischi.

Organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’Unione Africana e numerose ONG lavorano da anni per combattere la MGF. Ma il cambiamento vero parte dalle comunità, dai villaggi, dalle famiglie.

Conclusione

La mutilazione genitale femminile è una delle più gravi violazioni dei diritti umani del nostro tempo. È un crimine travestito da cultura, una forma di controllo mascherata da amore materno, un’eredità che nessuna bambina dovrebbe più ricevere.

Romperne il silenzio significa difendere il diritto di ogni donna a possedere il proprio corpo, a vivere senza paura, a essere intera.

“Non si può cambiare ciò che si rifiuta di affrontare.”
— James Baldwin

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